Diversamente… insieme
Ogni anno, insegnando diritto, mi capita di spiegare in alcune classi l’art. 3 della Costituzione e il concetto di capacità d’agire e le relative incapacità. Quale caso di vita può aiutare i miei studenti a interiorizzare le norme. Spesso mi è capitato di focalizzare l’attenzione sulla parità tra cosiddetti normodotati e disabili. “Quando avevo la vostra età – inizio come una nonna di altri tempi – per la strada non se ne vedeva neanche uno, nelle scuole tanto meno”. Ma erano gli anni in cui nella mia città, Genova, una donna coraggiosa chiusa in un polmone d’acciaio fondava la rivista “Gli altri” e diffondeva la consapevolezza che anche questi “altri” avevano voglia di vivere. La storia li prende, i particolari (che cos’è e come si vive in un polmone d’acciaio) li turbano. Oggi il piazzale antistante l’ospedale civico è intitolato a quella coraggiosa donna che dentro l’ospedale ha passato buona parte della sua vita: lo ricordo ai miei studenti, perché ogni città ha i suoi piccoli eroi ed è giusto che siano ricordati, ogni città ha i suoi cittadini ed è giusto che sappiano dove abitano. Ci sono altre storie che fanno stabilmente parte del mio repertorio, come quella narratami da una collega affetta da poliomelite di quando venne insultata da un automobilista che aveva posteggiato nel posto riservato a lei, e lei aveva osato protestare. Ma magari questo comportamento lo tengono anche i genitori dei miei ragazzi, e allora forse la storia è meno efficace.
Ma per fortuna non sono sola. In classe ci sono anche loro, i miei alunni disabili o diversamente abili o handicappati; insomma ci sono Carlo, Alberto, Cristina…
Una volta il Carlo di turno raccontò la stessa storia. Anche lui, colpito da problemi motori, di ritorno dalla piscina trovò il posteggio riservato occupato da un’altra vettura; anche a lui furono rivolte parole ingiuriose. Sulla sua bocca di compagno di classe la storia ha un sapore diverso: i compagni gli sono amici, sanno di quando esce fuori orario sulla sua carrozzina per tirarsi un po’ in piedi, come i medici gli consigliano, ma di nascosto perché si vergogna del suo corpo storto; lo vedono con la mazza da hockey, perché fa parte di una squadra di disabili; lo hanno visto persino baciarsi con la sua fidanzatina. Perché da noi, a scuola, lui ha potuto averla questa esperienza. Dopo non si sa. Dopo.
Anche i miei ragazzi se lo sono chiesti, mentre parlavamo di capacità d’agire e il compagno diverso, chiamiamolo Gianni, era casualmente assente. “Anche Gianni…” sarà interdetto, vogliono dire, ma lasciano le parole vagare nel vuoto. Sì, anche lui. “Ma è intelligentissimo, in certe cose”. Ma poi dopo che cosa succederà loro? Chi sarà il loro tutore? E se si innamoreranno? E se capitasse loro di avere un figlio?
Il suono della campanella conclude la lezione. Durante l’interrogazione la capacità d’agire sarà di nuovo “l’idoneità a compiere atti giuridicamente validi”; per un’ora è stata lo strumento per riflettere su una vita. Ma se la vita non ce l’avessimo avuta accanto, se fosse stata cancellata dalla società dei normodotati, come succedeva ai tempi della mia adolescenza, che cosa sarebbe stata la norma?
Non so che cosa Carlo, Gianni, Alberto e Cristina possano imparare dalla scuola: gli esperti mi dicono molto e io mi fido; so però che cosa possono imparare gli altri da loro.
Chiara Saracco