Convegno del 23. Partire dal basso, mirare in alto

Siamo fortemente motivati a incontrarci il 23 prossimo, certi che sarà un evento straordinario. Una occasione per riflettere su quanto impegno e su quanta generosità è presente nel lavoro dei docenti; tale da fare impallidire taluni presunti riformatori, certamente compulsivi tagliatori di risorse (da coniugare al femminile). Detto questo, non ci si dovrà disperdere a rispondere all’atteggiamento costrittivo del ministro se non con qualche proposta di alto profilo. Occorre, intanto, dopo la rassegna delle esperienze che le scuole presenteranno e che saranno illuminanti per molte prospettive future, pensare almeno a due questioni.

1. La questione attuale: formare plebe o cittadini?

Il Convegno confermerà l’importanza delle didattiche che si praticano già da tempo nelle nostre scuole; molte di esse saranno certamente da proporre per essere estese o assunte come modello, per il considerevole livello raggiunto sia dal punto di vista di specifiche didattiche disciplinari, che dall’uso intelligente delle tecnologie. Un’ottima occasione per uscire da un lungo silenzio fatto di frustrazioni. E, tuttavia, perché non cominciare a riflettere sull’ipotesi – ove le didattiche disciplinari risultassero di esclusiva dominanza – che si stia per esaurire questa fase: quella delle buone pratiche incentrate solo sulle materie che, proprio perché non possono mostrare ulteriore efficace formativa, per vizio insito, sono la vera causa dello sbandamento che vive la classe docente, aggravato dalle attuali politiche ministeriali? Perché non metterci tutti alla prova, ministro compreso? Il vizio insito nelle didattiche vigenti è connesso all’assenza della dialettica fini-mezzi-fini, di cui ho fatto cenno nel mio precedente intervento. Ma il problema è ben più serio ed è quello che, per esempio, Edgard Morin va ponendo con grande passione e slancio profetico, oltre che tecnico: la riduzione dei livelli di egocentrismo nella dialettica egoismo-altruismo. Fioroni e Ceruti avevano avviato già qualcosa che andava in questa direzione, in consonanza con Morin. È del tutto dimostrabile che le didattiche disciplinari da sole non intervengono, se non in minima misura, su tale dimensione formativa. Basti tener presente certa fenomenologia, come l’ultima: di quella classe in cui è avvenuto lo stupro o, quello che realmente è stato. Le cronache sono quotidianamente ad informarci su fenomeni analoghi, comunque di equivalente significato di acre dispersione delle persone. Se a lungo andare vogliamo impedire che le nostre scuole, pure con le buone didattiche (che certo non vi erano in quella classe) sformino plebe, piuttosto che cittadini, occorre affrontare la questione delle finalità e come queste possono agire strategicamente negli esiti alti della formazione. Dunque, grande attenzione per il Convegno che prefigura una ripresa della speranza, a partire dal basso, ma nella certezza che tutti abbiamo in mente che bisogna puntare in alto.

2. Una proposta per la prospettiva

In cosa può consistere il mettersi alla prova? Posto che il problema della complessità formativa passi per la riduzione dei livelli di ambiguità del rapporto egoismo-altruismo, come perorato da Morin, ma anche per come previsto dalle vigenti Indicazioni nazionali per il curricolo, perché non creare un tavolo di elaborazione, allargato a tutti i partiti, magari con la stessa partecipazione del ministro in carica, che si assuma la responsabilità tecnico culturale, ma anche politica, di dire qualcosa su questa dimensione di problema? Magari facendo precedere il tutto dalla costituzione di gruppi di lavoro di base che studino gli aspetti del tema. Una concordata interpretazione sulla priorità che le discipline siano da considerarsi potenti mezzi, ma non fini, può ridurre il livello attuale della conflittualità che non porta da nessuna parte, perché si aprirebbe una fase altamente creativa nel lavoro docente. Infatti, toccherebbe, poi, alle singole scuole attivare la ricerca, adeguatamente finanziata, su come rendere attuabile quel rapporto fini-mezzi-fini. Sempre che si riesca ad evitare, ove questa utopica prospettiva dovesse avverarsi, l’atteggiamento ideologico della distribuzione ugualitaria, come è improduttivamente avvenuto con la gestione del fondo d’istituto. Va solo ricordato che una scuola che non investa grandi risorse finanziarie nella ricerca, è destinata ad allentare sempre di più la tensione ideale e culturale; e la prospettiva di produrre plebe si farà sempre più certa. E questo è un rischio per la democrazia. Sarebbe già una gran cosa se da qualche parte si volesse affermare che la questione qui posta è propedeutica ad ogni altra futura ricerca.

Fortunato Aprile