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Le competenze linguistiche e il ruolo della disciplina giuridica

Pubblicato il: 06/09/2010 12:48:00 -


La proposta di uno studio per lo sviluppo delle competenze linguistiche attraverso il linguaggio giuridico nella scuola secondaria di secondo grado.
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Le competenze, le abilità, le conoscenze, i cosiddetti saperi minimi, degli alunni delle scuole secondarie superiori non sono sufficienti. Gli alunni delle scuole secondarie superiori non possiedono le competenze elementari in materia di linguaggio, l’espressione evidentemente comprende i sistemi formalizzati di regole e procedure di ordine grammaticale, sintattico e semantico, i sistemi formalizzati della matematica e della logica. Tutti siamo d’accordo nel ritenere che la situazione abbia superato il livello di guardia.

Cito un caso, purtroppo non isolato, che da un lato esemplifica il livello culturale dei nostri alunni e che, dall’altro, rappresenta o dovrebbe rappresentare (?) una delle prove della situazione di pericolo in cui si trova la scuola italiana. Spesso gli alunni, durante l’esposizione di un argomento, usano dire: la capacità giuridica “è quando”. Dalla lettura del testo del prof. Lantella (L. Lantella, E. Stolfi, M. Deganello, “Operazioni elementari di discorso e sapere giuridico”, G. Giappichelli Editore Torino, 2004) ho potuto verificare che anche gli studenti universitari forniscono definizioni del tipo “il contratto è quando” e cosi via. Cito testualmente (pag. 91) dal volume del docente dell’Università di Torino: “Orrore! Orrore! Nugoli di studenti, fornendo definizioni esistenziali hanno cagionato acciacchi agli esaminatori e danni a sé medesimi. Perché? (…) le persone acculturate si aspettano subito dopo il verbo essere la predicazione di un nome che faccia da genus nei confronti del definiendum, se invece (…) arriva addirittura un avverbio temporale (quando) lo straniamento è notevole. Intollerabile”.

Stiamo tirando su persone, come dice il prof. Lantella, che “non se la cavano con le parole, che tentano di infilare qualche informazione o che sanno fornire solo definizioni ruspanti?”. Il problema è tanto sentito, dal prof. Lantella, da spingerlo ad attivare un corso obbligatorio e a pubblicare un testo intitolato “Operazioni elementari di discorso e sapere giuridico” presso la facoltà di Giurisprudenza della città dove insegna. È evidente che il sistema istruzione non funziona e non dimostra di essere all’altezza dei cambiamenti.

Analizzare tanta complessità, allo stato attuale, è difficile, e soprattutto è arduo, se non impossibile, stabilire quale tra le dimensioni politico-sociale, istituzionale, pedagogico-didattica non funzionino. Se è vero quanto è stato affermato e cioè che tutte e tre le dimensioni sono concause, fattori causali concorrenti e necessari al cambiamento, che interagiscono tra loro (G. Franceschelli, “Apprendere, insegnare, dirigere nella scuola riformata, Aspetti metodologici e profili professionali”, Collana di studi “Scienze dell’educazione” diretta da L. Trisciuzzi e S. Ulivieri, Edizioni ETS, 2000); se è vero che tali componenti presentano degli “innegabili punti di isomorfismo” : è la componente organizzativa che pervade i discorsi politico-istituzionali, pedagogici e quelli didattici, allora deve esserci qualcosa che non funziona in questa componente.

È necessaria quindi una riflessione sull’insegnamento in quanto tale e analizzare ciò che si fa o si può fare affinché si creino contesti e condizioni idonei a favorire i processi di apprendimento. La scuola “serve per imparare e non per insegnare”, ma se tale obiettivo non è raggiunto è impellente chiedersi cosa non funziona nell’offerta formativa e nella progettazione educativa e didattica.

Mi chiedo se abbiamo fatto tesoro dei risultati raggiunti dalla didattica cognitivistica che ha introdotto nella didattica i criteri della scientificità, della ripetibilità e della pubblicità. Stiamo utilizzando tutte le strategie possibili? Stiamo controllando il processo formativo? Noi docenti abbiamo le competenze teoriche e pratiche? Riconosciamo come centrali le relazioni, non solo con gli alunni, ma anche quelle tra docenti e tra questi e gli altri operatori della scuola e i genitori, intese come condivisione delle finalità e assunzione di responsabilità?

Mi pare che abbiamo difficoltà a superare gli stereotipi, ancora molto diffusi, che si sostanziano essenzialmente nell’attribuzione delle responsabilità a una sola delle variabili del complesso sistema. È necessario assumere, invece, una nuova mentalità professionale, culturale, aperta alla responsabilità di tutti. E per quanto riguarda noi docenti ritengo che l’unica strada percorribile sia quella di un coinvolgimento di tutti i docenti delle discipline che si impartiscono nella scuola superiore.

Ognuno di noi deve assumersi, a mio parere, l’onere di affrontare il problema e chiedersi perché gli alunni non posseggono più competenze in materia di linguaggio e di discorso.

IN CHE MODO POSSONO ESSERE COINVOLTE TUTTE LE DISCIPLINE?

A mio parere è necessario individuare i nuclei fondanti ossia i concetti fondamentali che ricorrono in vari punti dello sviluppo della discipline. Per l’individuazione dei nuclei fondanti è necessario tenere presente lo statuto epistemologico della disciplina (linguaggio, oggetto, concetti chiave, metodo di indagine ecc.). È fondamentale, inoltre, a mio parere, individuare i bisogni formativi degli allievi in considerazione della loro età, della loro evoluzione psico-fisica e relazionale.

Solo dopo aver cercato di rispondere a questi, non facili, quesiti sarà possibile evidenziare i punti di comunicabilità con le altre discipline del curricolo e procedere alla individuazione delle competenze minime.

IL RUOLO DELLA DISCIPLINA GIURIDICA

Uno dei possibili approcci ai nuclei fondanti della disciplina è l’oggetto. È importante sottolineare che il diritto si studia: “Per essere cittadini consapevoli – Per conoscere un aspetto importante della nostra vita” evidenziando quindi come il diritto abbia come oggetto scelte umane consapevoli (sempre?) all’interno della vita sociale.

Mi pare, però, sia necessario soffermarsi su un altro importante approccio ai nuclei fondanti: il linguaggio. Il linguaggio del diritto viene definito come linguaggio settoriale in quanto, come sostiene Bice Mortara Garavelli (B. Mortara Garavelli, “Le parole e la giustizia”, Einaudi, 2002), a differenza dei linguaggi formali e simbolici è distinto, ma non separato dal linguaggio. Gli alunni, poiché il linguaggio giuridico adopera la lingua naturale, possono, attraverso lo studio della disciplina, meglio comprendere i fenomeni linguistici la cui conoscenza è alla base di ogni sistema di comunicazione. E poiché le differenze tra linguaggio ordinario e giuridico non riguarderanno i termini, ma il loro uso attraverso lo studio del diritto sarà possibile spiegare il funzionamento della lingua e i diversi modi in cui può essere utilizzata. Il linguaggio giuridico in particolare, come sostiene Andrea Belvedere “si discosta per il lessico e quindi per le diversità d’uso di una medesima parola: uno stesso termine potrà ricorrere negli enunciati di entrambi i linguaggi, ma con significati più o meno differenti” (A. Belvedere, “Il linguaggio del codice civile”, in “Il linguaggio del diritto”, Edizioni universitarie di lettere, economia e diritto, 1994).. È evidente che gli alunni, nello studio del diritto inteso come linguaggio e come discorso debbano affrontare problemi sintattici, semantici e pragmatici (M. Jori, A. Pintore, “Manuale di Teoria generale del diritto”, Milano, 1995).

È vero che il fenomeno linguistico va considerato nella sua interezza, ma a fini conoscitivi e didattici è utile distinguere :
1. il livello sintattico (sintassi del linguaggio)
2. il livello semantico (lessico/termini giuridici e definizioni)
3. il livello pragmatico: situazione e contesto d’uso del linguaggio

Identificare nel linguaggio un approccio ai nuclei fondanti delle discipline giuridiche consente di evidenziare i punti di comunicabilità per esempio tra diritto e lingua italiana e straniere, tra diritto e logica, tra diritto e semantica.

Il diritto insieme alle altre discipline concorre a soddisfare un bisogno fondamentale degli allievi che è quello linguistico e comunicativo.

Con particolare riguardo al livello pragmatico, attraverso lo studio del linguaggio giuridico ed economico gli allievi potranno conoscere importanti e diverse funzioni della lingua.

In conclusione il diritto non serve a conoscere altre regole sintattiche, morfologiche, fonetiche, ma può contribuire potentemente ad ampliare e approfondire la didattica dell’ educazione linguistica rispetto a un aspetto che spesso risulta trascurato (nella scuola secondaria superiore) che potremmo definire come l’educazione linguistica al testo non letterario (il termine viene usato dai linguisti in una accezione tecnica e non valutativa).

Ampliare e approfondire la didattica dell’educazione linguistica non letteraria porta un vantaggio alla didattica della lingua e un vantaggio alla didattica del diritto perché, attraverso lo studio del linguaggio normativo come linguaggio settoriale è possibile aggirare lo scoglio di uno studio esclusivamente contenutistico.

APPENDICE IN PDF: una proposta di percorso per lo studio di questi argomenti e per la loro applicazione alla scuola secondaria.

Chi vuole intraprendere questo percorso con me? Aspetto risposte!

Paola Lobina

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