Cipì ancora in volo
Il maestro ha portato in classe un contadino di Piadena, che parla ai bambini e alle bambine quasi solo nello stretto dialetto locale. L’anziano agricoltore ha con sé un barattolo di vetro con all’interno due rospi teneramente allacciati. “Ho visto una cosa bellissima” dice, “I satt che fava l’amor. I rospi che facevano l’amore”. Li estrae dal barattolo, ma i batraci non si staccano e non smettono di emettere gracidii striduli eppure melodici. I bambini e le bambine, intorno, non perdono un attimo della lezione in corso. Forse mai l’educazione sessuale, così praticata, ha messo insieme cognizioni scientifiche, stato psicologico ed emotivo, qualità e quantità dell’apprendimento.
Così lavorava in classe Mario Lodi. Così, tra l’altro, è nato “Cipì”.
Portando il saluto della Casa delle Arti e del Gioco alla sessantesima assemblea del Movimento di cooperazione educativa, che si è tenuta a Firenze dal 7 al 10 dicembre e durante la quale è stata assegnata la presidenza onoraria a Mario Lodi e Giovanna Legatti (la maestra di Coldigioco che è stata moglie di Bruno Tamagnini, uno dei fondatori del MCE), abbiamo ricordato a noi e a tutti che Vittorio De Seta, oltre allo splendido “Diario di un maestro”, con Bruno Cirino, tratto da “Un anno a Pietralata” di Albino Bernardini, aveva appunto girato tra il 1976 e il 1977 una serie di documentari, dal titolo “Quando la scuola cambia”, con la preziosa fotografia di Luciano Tovoli e la consulenza pedagogica di Francesco Tonucci. (La Rai detiene le copie e i diritti di tutta l’opera “scolastica” di De Seta e sarebbe il caso, come abbiamo ricordato anche all’assemblea, di invocare un’edizione in digitale che fosse a disposizione del pubblico – magari rammentando ogni tanto che proprio con un servizio pubblico, almeno nella configurazione giuridica, abbiamo ancora a che fare).
“Cipì”, dicevamo, che compie cinquant’anni. È del 1961, infatti, la prima edizione. Siamo arrivati alla ventiduesima (ne è appena uscita una speciale, sempre da Einaudi, dedicata proprio al compleanno) e a oltre trenta lingue diverse in cui il magnifico racconto di Mario Lodi e “dei suoi ragazzi” è stato tradotto. Se cercassimo una sintesi – come quella mirabilmente messa in scena da De Seta – sui metodi della scuola attiva, oltre e al di là di qualsiasi studio, saggio, convegno, approfondimento, basterebbe a illuminarci il racconto di come è nato un libro tanto longevo e ancora del tutto attualissimo.
Siamo alla fine degli anni Cinquanta. La classe è riunita. Il maestro sta tenendo la sua lezione (di tipo classico, ancora, probabilmente). I bambini e le bambine sono seduti ad ascoltare. Mentre parla, il maestro si rende conto a poco a poco che la classe, quasi intera, è distratta. L’attenzione, infatti, si sta concentrando intorno a un alunno che sta guardando fuori dalla finestra e indica qualcosa. Il maestro interrompe per un attimo la sua lezione e cerca di capire che cosa stia accadendo. Fuori di là, nel mondo, c’è un gatto che si sta arrampicando sui tetti. I bambini e le bambine sono affascinati.
A questo punto il maestro, ogni maestro e ogni maestra, ha due possibilità. La prima, la più facile, è quella di richiamare all’ordine la classe, magari alzando la voce o minacciando provvedimenti disciplinari, e di riprendere la lezione frontale, trasmissiva. La seconda – quella che per fortuna di tutti noi scelse Mario Lodi – è di lasciar perdere i mirabolanti contenuti che sta trasmettendo e che nessuno sta ascoltando e di utilizzare quella opportunità come occasione di approfondimento prima emotivo e poi didattico.
Così fece Mario Lodi. Scese dalla cattedra (ammesso che ci fosse ancora, in quella classe del Vho di Piadena), si avvicinò ai bambini e alle bambine guardando anch’egli fuori dalla finestra, cominciò a discutere con loro. Dove starà andando, quel gatto? A caccia di topi? Forse no, i topi stanno più in basso. Allora a caccia di uccellini? Magari ha visto un nido, sotto il tetto. Che uccellini saranno? Passeri? E la loro mamma, dove sarà?
E così via. Testo libero, scrittura collettiva, come aveva insegnato Freinet e come stava facendo – in un’altra esperienza con la quale presto i ragazzi del Vho e il loro maestro sarebbero entrati in contatto – don Lorenzo Milani a Barbiana. Un lavoro di mesi. Personaggi che devono essere delineati: la mamma, Cipì, Passerì e tutti gli altri. Situazioni da sviluppare. Un racconto che prende forma. Disegni per illustrarne i passaggi salienti. Un libro. Un libro vero. Pubblicato da una delle case editrici più importanti d’Italia. Un grande successo. Un libro che ancor oggi si legge nelle scuole e nelle famiglie, non solo italiane, e che ha avuto anche svariate versioni di messa in scena teatrale.
Si poteva fare, alla fine degli anni Cinquanta. Poteva prendere forma, nel 1961, la prima edizione di “Cipì”. Si può ancora? Non è il caso di far riprendere il volo alla lezione del maestro che ha realizzato questo meraviglioso libro con i suoi bambini e le sue bambine?
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IL SALUTO DI MARIO LODI ALLA SESSANTESIMA ASSEMBLEA DEL MCE
“Carissimi,
Sono onorato di ricevere dal Movimento di Cooperazione Educativa la Presidenza onoraria dell’Associazione.
Non posso purtroppo essere presente tra voi in questa bella giornata.
Vorrei farvi avere comunque alcuni ricordi e alcune riflessioni…
Dall’illuminismo in poi, dopo Jean Jacques Rousseau, molti hanno tentato di dare alla scuola nazionale una finalità alta: Il Ferrer in Spagna aveva aperto la Escuela Moderna, in Italia Maria Montessori aveva sperimentato le Case dei bambini. In Russia il grande scrittore Leone Tolstoj aveva trasformato in scuola la sua tenuta Jasnaia Poliana dove insegnava a scrivere ai bambini, Celestin Freinet in Francia organizzò una cooperativa di maestri, don Lorenzo Milani aveva trasformato la sua parrocchia in scuola: e tanti altri meno famosi si sono dedicati all’educazione dei fanciulli. Solo il fascismo usò la scuola per un fine meno alto: ottenere il consenso del popolo per la politica della guerra.
Con la liberazione fu necessario dare una legge nuova allo Stato democratico nascente; l’11 dicembre 1947 fu approvato all’unanimità un ordine del giorno di Aldo Moro nel quale si chiedeva che la Costituzione ‘trovi, senza indugio, adeguato posto nella scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevoli le giovani generazioni delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sicuro retaggio del popolo italiano’.
Quel giorno era nata l’idea della nuova scuola italiana.
Il suo scopo ideale era la formazione dei cittadini democratici.
Noi del Movimento di Cooperazione Educativa abbiamo realizzato la scuola del dialogo e della democrazia.
Nel 1948, l’anno in cui sono entrato di ruolo, fu promulgata la Costituzione italiana.
Nell’immediato dopoguerra, i docenti che avevano vissuto come me, direttamente, l’esperienza del fascismo, della guerra e della liberazione avevano un obiettivo concreto: realizzare la ricostruzione della scuola alla luce della Costituzione. C’era tensione ideale e morale, la politica era una cosa seria. Nacque un movimento riformatore della scuola.
Un giorno, un mio amico mi disse che a San Marino si riunivano alcuni maestri un po’ strani… così ci andammo per quattro giorni. Lì ho conosciuto maestri come Quercioli, Bruno Ciari, Giuseppe Tamagnini, Aldo Pettini, Maria Luisa Bigiaretti… e attraverso l’incontro con questo gruppo, in pochi anni è cominciata la conoscenza del mondo del bambino.
Certamente non c’era la certezza che un lavoro scolastico tendenzialmente intuitivo portasse a dei risultati positivi. Per questo ci avvicinammo a personalità orientate verso la cultura scientifica, ad esempio Francesco Tonucci, Aldo Visalberghi, Raffaele La Porta, Andrea Canevaro, Tullio De Mauro, e altri.
Da una parte cominciammo a “liberare” il bambino facendolo parlare di sé, introducendo nuove tecniche didattiche come il testo libero, l’uso della stampa, la corrispondenza interscolastica, il calcolo vivente ecc.; dall’altro trovammo sostegno da parte della scienza, attraverso la teoria che il pensiero del bambino non cominciasse a scuola, ma fin dalla nascita. Così nacque e si sviluppò, attraverso una collaborazione fra persone autodidatte, questa ricostruzione culturale.
La particolarità che mi colpì del Movimento fu il concetto di dovere morale di cooperazione educativa: qualsiasi azione venisse compiuta, indipendentemente dal risultato, avevamo il dovere di comunicarla agli altri. Per questo motivo cominciai a documentare ciò che avveniva nella mia classe.
L’impostazione era questa: dare la parola ai bambini, ritornare su ciò che avevano detto se le cose non fossero state chiare, ricercare ecc. Siamo arrivati a scoprire la fantasia dei bambini, cioè la capacità di trasformare con la loro immaginazione la realtà in favola. Parlo di una favola vera, non del tranello della fantasia come mera evasione.
Il MCE divenne piano piano un movimento di circa 6.000 su 27.000 insegnanti in tutta Italia che credeva nel rinnovamento della scuola come strumento fondamentale per il rinnovamento della società.
La scuola in una società democratica deve esprimere i valori su cui è fondata come strumento di crescita umana e sociale.
La Costituzione è la bussola, la guida da vivere quotidianamente a scuola e nella vita civile, se vogliamo costruire una società di alto livello etico.
Una scuola che accoglie tutti i bambini, in cui non ci sono scarti da perdere per strada ed allontanare, vuol dire che si prende cura di chi ha bisogno quindi è fondata sulla solidarietà e sull’aiuto reciproco. Una scuola che da loro la libertà di esprimersi come dice l’articolo 21 della Costituzione: ‘TUTTI hanno il diritto di esprimere il proprio pensiero con le parole, con lo scritto e ogni altro mezzo…’, una scuola che stabilisce regole condivise perché vivere insieme richiede l’esercizio quotidiano del rispetto di regole che rendono possibile l’uso della libertà, una scuola che promuove la capacità di ciascuno attraverso una valutazione formativa, una scuola in cui il bambino abbia la possibilità di realizzarsi esprimendosi con tutti gli strumenti a disposizione.
Vorrei suggerire agli insegnanti di diventare veri educatori di bambini che vivono a scuola la loro prima esperienza sociale fra amici con i quali collaborare invece di competere. Una scuola di pace.
Ai giovani di oggi che chiedono una scuola nuova dico: noi avevamo nel cuore la legge unificante della Costituzione in un periodo di crisi nazionale drammatica come quello dell’Italia all’indomani della guerra mondiale e del fascismo.
La formazione professionale dei docenti capaci di organizzare il lavoro scolastico liberando le capacità espressive, logiche e creative dei bambini non è soltanto una questione pedagogica e burocratica, essa è prima di tutto urgente problema politico nel quadro di un risanamento morale dell’intera società.
Il cammino è una strada da percorrere insieme con tenacia, concretezza, passione, responsabilità, determinazione, competenza e divertimento.
È anche credere che i sogni si possono realizzare insieme: educatori, bambini e genitori.
Nel mio cammino ho avuto la sorpresa di scoprire che questo mestiere rendeva felici.
Vi ringrazio, vi saluto e vi auguro buon lavoro!”
Mario Lodi
Firenze 7 dicembre 2011
Carlo Ridolfi