Cinema chiusi, scuole chiuse: il tempo sospeso

Con il film Cattive acque, sull’inquinamento ambientale, uscito poco prima della chiusura delle sale cinematografiche e delle scuole, ritorna in vita la gloriosa tradizione  del cinema civile americano.

Il Polo Liceale e Tecnico di Guidonia Montecelio (Roma), dove lavoro, da alcuni anni, ha la buona abitudine di organizzare delle matinée al cinema. Il 12 marzo 2020 i circa 1985 allievi avrebbero dovuto vedere un film contro l’inquinamento del pianeta: Cattive Acque. Purtroppo la sospensione delle attività didattiche, il 6 marzo, ha impedito questo importante avvenimento. Speriamo di tornare a sognare nei nostri cinema. La recensione è dedicata a tutti quegli studenti italiani che non hanno ancora visto Cattive acque

Capita raramente, nel recente cinema made in USA, vedere insieme, declinati in un racconto ritmato da una suspense delicata e non fracassona, ricerca scientifica e fede cristiana, guide di un solitario ed educato antieroe, qui l’avvocato Robert Bilott. Il soggetto di Cattive acque (Dark Waters, 2019, regia di Todd Haynes; classe 1961, laureato in arte, con indirizzo in semiotica) viene dalla cronaca e ben si inserisce in questi ultimi anni di messaggi e battaglie globali in difesa della salute dell’ambiente. La vicenda inizia negli anni Novanta, nella cittadina di Parkersburg, in West Virginia. Una multinazionale di prodotti chimici, la DuPont, pare sversi sostanze chimiche nelle acque locali. Un allevatore di Parkersburg, Wilbur Tennant, dopo avere perso circa duecento mucche, è convinto che le acque siano avvelenate. Si reca a Columbus, Ohio, dove esercita appunto l’avvocato Robert Bilott (Mark Ruffalo, abile nel far parlare il suo volto paffutello con minime contrazioni), nipote di una sua compaesana. Solo che Bilott, a prima vista riservato e timido (anche se si rivelerà poi preparato e deciso), è stato appena assunto da un prestigioso studio di avvocati, in un pool che dovrebbe lavorare, guarda caso, per difendere gli interessi della DuPont. 

Bilott, inizia a seguire controvoglia il caso, poi convince il capo del suo studio, Tom (Tim Robbins, asciutto e deciso), a far causa alla DuPont, in difesa di 70.000 cittadini, sottoposti a probabile avvelenamento. Ascoltando testimoni ammalatisi e analizzando le carte della multinazionale, si confermano i sospetti: nelle acque e nel sottosuolo della cittadina di Parkersburg, sin dagli anni Settanta, vengono seppelliti e gettati grandi quantità di acido perfluoroottanoico, responsabile di tumori che attaccano diverse parti del corpo umano. La causa, dopo venti anni di dibattimenti, ottiene il risarcimento per i familiari delle prime 3.500 vittime, circa 670 milioni di dollari. 

Una didascalia, prima dei titoli di coda, avverte lo spettatore che la battaglia di Billot, e di altre famiglie danneggiate, ancora continua. Soprattutto, che il rivestimento in teflon di padelle e pentole, ottenuto con il fluoro alterato, ha attualmente avvelenato il «99% della popolazione mondiale». 

Haynes, insieme agli sceneggiatori Michael Carnahan e Matteo Correa, ricostruisce la tesa battaglia di Bilott contro la DuPont, attraverso un credibile percorso psicologico cui lo spettatore partecipa senza angoscia, come rassicurato dalla tenacia gentile dell’avvocato Bilott.  Acque cattive, che riaccende felicemente il filone del cinema civile americano (si pensi a The Insider, 1999, di Michael Mann, scaturito da un articolo di giornale: lì si denunciava una multinazionale del tabacco, anche quella per inquinamento chimico), è stato caparbiamente voluto dall’attore Mark Ruffalo, dopo aver appreso il caso di Parkersburg, da un articolo uscito sul New York Times.  Haynes, evitando toni melodrammatici, disegna il racconto dentro una drammaturgia razionale, mostrando gli inevitabili momenti di tensione, sia in ufficio che in famiglia, poi superati grazie ai valori etici che guidano Robert e i suoi famigliari (i pochi secondi della messa domenicale cui partecipa, dopo l’ictus che l’ha colpito, con la moglie Sarah e i tre figli, sono eloquenti). La regia rifugge effetti visivi postmoderni (droni, trucchi digitali, ecc.); addirittura ricorre alla dissolvenza incrociata del cinema classico, per segnare il passaggio del tempo, o si affida a dei plongée che ricordano il cinema di Orson Welles. Mentre il placido e solitario muoversi in auto di Robert, per indagare, da dinoccolato antieroe, ricorda il cinema di Hitchcock. Haynes pare dirci, «amo i classici, non sono citazionista».

 

                                                                     

 

 

 

Eusebio Ciccotti Storico del cinema e comparatista, professore a contratto di Storia del cinema, dirige il Polo Liceale e Tecnico di Guidonia Montecelio. di Storia del cinema, dirige il Polo Liceale e Tecnico di Guidonia Montecelio.