C’era una volta il preside
In passato nelle scuole accadeva spesso che il Capo d’Istituto sostituisse all’occorrenza un docente assente, “sfoggiando” la propria cultura nei vari ambiti del sapere, coinvolgendo i discenti in un processo di insegnamento-apprendimento. Il direttore, il preside, era visto da noi insegnanti, innanzitutto, come un docente/educatore illuminato che aveva maturato in cattedra un’esperienza solida ed efficace, a tal punto da poter gestire con competenza anche i problemi più complessi della scuola.
Senza passare in rassegna la normativa che ha ridisegnato la scuola attuale (autonomia scolastica L. n. 59/97, DPR 275/99), tutti possiamo constatare che, nelle scuole autonome, i dirigenti scolastici esplicano molte funzioni con grande impegno (decifrano leggi, regolamenti, circolari ministeriali, si rapportano con il territorio, presiedono con competenza i collegi, i consigli d’istituto, i PON ecc.) con lo scopo di dare all’utenza un’immagine positiva e competitiva della scuola.
Il dirigente scolastico “tecnologizzato” che ha doti e capacità manageriali, piuttosto che spiccate competenze culturali specifiche propriamente dette (le competenze culturali di un operatore scolastico a cui mi riferisco riguardano la capacità di instaurare uno speciale rapporto educativo con gli alunni), gestisce la scuola con distanza dai reali problemi che gli alunni e il personale docente vivono nella comunità classe e, più in generale, nella comunità scuola.
Spesso con i colleghi abbiamo discusso del ruolo che il dirigente scolastico ha oggi nella scuola, ebbene, alcuni hanno la convinzione che “il preside in molti casi lo può fare anche un dirigente delle poste o viceversa, in quanto le competenze richieste nella gestione dell’ “azienda” scuola sono soltanto di natura tecnico-amministrative”. Si profila all’orizzonte una scuola dell’autonomia che non ha ben chiare le sue finalità educative e formative, una scuola che rischia di andare sul “mercato” alla ricerca di “consumatori” che fruiscono o richiedono un servizio scolastico in base ai loro “gusti” e “desideri” personali.
In alcune realtà è successo, anche, che alcuni dirigenti scolastici abbiano invitato i docenti a sponsorizzare i POF nei supermercati per raccogliere più iscrizioni (per dare maggiore visibilità e stabilità alla scuola e garanzie di permanenza al personale scolastico).
Succede frequentemente che i dirigenti scolastici assegnati alle scuole non conoscano in profondità i “problemi” legati a quel segmento scolastico, così è facile che nella scuola media sia incaricato un dirigente della scuola primaria o viceversa, ovvero un dirigente di scuola superiore o viceversa.
La scuola dell’obbligo, nello specifico, per la sua origine e la sua evoluzione culturale, richiede dirigenti scolastici “specialisti”, profondi conoscitori dei problemi degli alunni che si collocano in questa fascia di età, dotati di una maturità e una profonda cultura pedagogica e umanistica, attenti e sensibili, che partecipano attivamente e in prima persona, senza deleghe, ai processi educativo-didattici posti in essere.
Bisogna dire, con un po’ di stupore e imbarazzo, che alcuni dirigenti scolastici delle scuole primarie e medie, tra i traguardi che intendono perseguire, annoverano quello di un maggior numero di bocciati, ponendosi in sintonia con le attuali “spinte innovative” in materia di valutazione (sic!).
Non so cosa ne pensano i dirigenti scolastici, per quanto mi riguarda penso a una scuola che affermi la sua peculiare funzione educativa ed istruttiva e che sappia offrire ai discenti, a tutti i discenti, punti di riferimento e direzioni di senso nel segno del principio del primato dell’uomo. Dopotutto un dirigente scolastico che “ritorna” a fare un po’ l’insegnante in classe non dispiace, può solo giovare alla scuola.
Saverio Fanigliulo