Dall’Italia non si vede la luna
Se il genovese Colombo non avesse avuto il supporto della Corona spagnola di quale anno sarebbe stato quel 12 Ottobre? Senza i finanziamenti britannici il bolognese Marconi avrebbe mai potuto realizzare la prima trasmissione senza fili? Le epoche si succedono, la globalizzazione evolve, ma la costante rimane sempre la stessa: l’Italia fatica nello sponsorizzare le sue eccellenze. Numerosi sono i talentuosi italiani costretti a partire per realizzarsi altrove, proprio come nella storia raccontata nell’intervista che segue: una giovane astrofisica della provincia di Latina, Alessandra Mastrobuono Battisti, ha lasciato l’Italia per andare dove c’è la reale opportunità di “vedere la luna”.
Dal 2012 sei in Israele, terra che ti ha accolta dandoti la possibilità di condurre le tue attività di ricerca. A cosa stai lavorando?
Qui in Israele ho continuato la ricerca, iniziata durante i miei studi universitari a Roma, relativa all’evoluzione dinamica delle stelle intorno ai buchi neri supermassicci che si trovano al centro di moltissime galassie, compresa la nostra. Studio anche come sono nati e sono evoluti nel tempo gruppi di stelle antichissimi, fonti di informazioni preziose sulla storia delle galassie e dell’Universo.
Ultimamente ho anche studiato la formazione del sistema solare e, in particolare, l’origine della nostra Luna. Al momento la mia ricerca si concentra su come spiegare l’esistenza e la struttura delle stelle “giovani” (hanno meno di dieci milioni di anni) osservate al centro della Via Lattea. L’esistenza di queste stelle in una regione così ostica della nostra Galassia, dove è presente un buco nero quattro milioni di volte più massiccio del sole, è un paradosso non ancora del tutto risolto. Mi sto anche occupando delle origini di ammassi stellari nella Galassia e sto approfondendo il lavoro sulla Luna cercando nuovi risultati.
Com’è vivere in questa terra, tanto bella e ricca di storia quanto pericolosa?
Sono stata a Gerusalemme tantissime volte. E’ una delle città più affascinanti che abbia mai visto. Durante i due o tre conflitti scoppiati in questi anni ho sentito tensione, ma non paura. Per il resto, la vita scorre tranquilla e non sento assolutamente nessun pericolo, soprattutto qui ad Haifa, paese dove arabi musulmani, cristiani ed ebrei convivono in pace da prima che Israele esistesse.
Torniamo indietro nel tempo: c’è stato un maestro/a o prof./prof.ssa che si è rivelato/a un punto di riferimento fondamentale per la tua crescita? Cosa ti ha insegnato?
Tutti i miei insegnanti mi hanno lasciato qualcosa, ho imparato da loro. Sono stata fortunata a incontrare maestre (solo donne alle elementari) e professori validi e preparati. Ovviamente gli insegnanti di matematica e fisica, soprattutto al liceo – e tra questi il professore della quinta – mi hanno fatto capire che, contrariamente a quanto comunemente si pensa, studiare queste materie è divertente e interessante. Studiare scienze serve per capire come funziona il mondo (l’Universo, direi) e cosa c’è di più affascinante di questo?
Nel 2006 hai conseguito la laurea triennale con Lode in Fisica e Astrofisica presso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Solo dopo due anni hai raggiunto il titolo di dottoressa magistrale, sempre con lode. Ma quando hai deciso di diventare un’astrofisica?
Ho deciso di studiare Astrofisica alla fine del quinto anno del liceo, quando era giunto il momento di decidere cosa sarei diventata da grande. A 19 anni, però, non credo avessi ben chiaro a cosa mi avrebbero portato questi studi. Speravo solo di terminarli e di trovare un lavoro.
Quali strade hai tentato subito dopo il titolo di Dottore? E, soprattutto, quando hai capito che per fare ricerca avresti dovuto lasciare l’Italia?
Come gli altri miei colleghi di dottorato, ho iniziato a spedire la mia candidatura in ogni università e ad ogni professore che offrisse una posizione da post-doc. In Italia non c’erano possibilità, quindi ho cercato lavoro solo all’estero. Lavorare per un periodo fuori dal proprio paese è quasi un percorso naturale ed io l’ho semplicemente seguito.
Nel tuo team di ricerca in Israele lavori con più donne o più uomini?
Israele, purtroppo, è un paese in cui i ricercatori sono a prevalenza uomini. Le statistiche sono impietose in ogni università e il Technion non è da meno. Siamo pochissime donne tra i post-doc e le professoresse di Fisica si contano sulle dita di una mano.
Qual è il tuo modello di donna, al quale ti sei ispirata negli anni?
Mia madre odia la matematica e la scienza, ma come donna l’ho sempre ammirata. E’ riuscita a conciliare il suo lavoro con la famiglia, senza mai far sentire mio fratello e me soli. Vorrei anch’io riuscire a fare lo stesso. Non ho modelli specifici. Cerco di guardarmi intorno e di farmi ispirare dal meglio che vedo in ognuno.
Cosa ti senti di consigliare alle ragazze che hanno intenzione di intraprendere una carriera come la tua?
Per prima cosa, se vi piace la scienza, non vi fate scoraggiare da chi vi dice che non siete “cool”, o che siete strane, o che è una cosa da uomini. Sono tutte sciocchezze. Spesso noi donne siamo limitate anche dal pregiudizio sociale che ci vorrebbe dedite solo alla famiglia e costringe molte di noi ad abbandonare le nostre ambizioni per crescere figli. Non è così, le due cose si possono conciliare. I pregiudizi tarpano le ali. Studiate quello che vi appassiona, usate gli anni della laurea e del dottorato per imparare a fare ricerca, cosa che spesso in Italia non si fa, e lottate per diventare ciò che sognate. Se non ci riuscirete, troverete un’altra strada, ma non avrete rimorsi e avrete imparato molte cose, non solo di scienza.
Un’ultima domanda: quando pensi di ritornare in Italia?
Quando avrò abbastanza titoli ed esperienza, e soprattutto, se a quel punto ci sarà un concorso per poter tornare.
Morena Sabella