La notte bianca del liceo classico
Il successo della "Notte bianca del Liceo Classico" è un'occasione di riflessione per rilanciare un indirizzo di studio ormai in crisi di popolarità.
Lo scorso 15 gennaio sono stati più di cento i licei classici che, in tutta Italia, hanno partecipato alla seconda edizione della “Notte bianca del Liceo Classico”, iniziativa nata per “contrastare il calo di iscrizioni e di interesse nei confronti di questa scuola e delle discipline che la caratterizzano”. La data non è casuale, perché cade nel periodo in cui le famiglie e i ragazzi scelgono l’indirizzo scolastico da frequentare in uscita dalla scuola media. Infatti, in quest’ultimo quinquennio le richieste di iscrizione al liceo classico sono costantemente diminuite, fin quasi a dimezzare il numero degli iscritti, che sono passati da circa l’11% al 5,1% del totale.
Il successo della manifestazione, stando ai report che si possono leggere on-line e sui giornali, è stato notevole, segno di una autentica vitalità delle nostre scuole classiche, in tutte le loro componenti, docenti, studenti, famiglie, personale ATA, il che peraltro corrisponde al dato di sostanziale soddisfazione generalmente espresso da chi già frequenta il liceo classico.
Quali dunque le ragioni del brusco calo di popolarità del più antico indirizzo di studi superiori d’Italia e, per certi versi, d’Europa? Il dato è sotto osservazione da alcuni anni; se ne è parlato anche sulla nostra rivista e, nel recente passato, sono state prese iniziative utili e interessanti (mi limito a citare “Classici dentro”, convegno-processo al liceo classico tenutosi a Roma nel 2014), ma finora il dibattito non è sostanzialmente uscito dalla stanza degli addetti ai lavori.
Tanto per stare al suo significato simbolico, questa “Notte”, come altre analoghe manifestazioni organizzate per favorire la conoscenza di musei, gallerie e siti archeologici, avrebbe dovuto accendere i riflettori su una situazione di crisi che non è risolvibile solo all’interno dell’istituzione scolastica, ma che, investendo la stessa identità culturale del nostro Paese, ha necessità di una discussione e di un’analisi la più ampia possibile.
Personalmente non ho molta fiducia in questo tipo di eventi, che corrono il serio pericolo di risolversi in operazioni di mero marketing (ne scrissi, nel 2014, a proposito dei musei, intitolando un mio articolo “La Notte dei Musei: è la notte dei musei?”). È pur vero però che non si possono neppure rifiutare sdegnosamente le strade della comunicazione così come oggi si configura. La sfida resta semmai quella di ancorare gli spot, anche di qualità, a una visione continua, permanente, sistemica, riferibile, mi si passino i termini, alla “normalità diurna” piuttosto che alla “eccezionalità notturna”.
Il rischio maggiore che colgo è quello dell’autocelebrazione, della laudatio temporis acti, dell’orgoglioso rimpianto del “come eravamo” opposto al destino cinico e baro riservatoci da una modernità superficiale e incolta.
È necessario invece uscire dalla torre d’avorio della scuola più bella di tutte, di quella che ha contenuti formativi generali più efficaci, della scuola, insomma, che forma l’eccellenza della nostra classe dirigente. Come ho già avuto modo di dire, il dato è incontrovertibile: dal classico escono studenti mediamente migliori degli altri e con un tasso di successo universitario più elevato.
Tuttavia non bisogna fermarsi alle cifre nude e crude: è pur necessario dire che la presenza di tanti ottimi studenti poggia ancora robustamente sugli ambienti di provenienza degli studenti stessi, solitamente di medio-alto livello culturale ed economico e, soprattutto, sul fatto che già in ingresso un sistema di orientamento tutto da ripensare indirizza verso il classico gli elementi migliori in uscita dalla scuola media.
Dunque, bando a ogni albagìa corporativa e riflettiamo lucidamente sulla sostanza del problema.
Essa mi pare assuma oggi tre aspetti fondamentali: quello legato alla struttura curricolare, quello legato alla didattica e ai contenuti dei programmi (perché di questo si tratta, bona pace delle linee-guida) e quello della formazione degli insegnanti. Sono certo che, tra le numerose e variopinte manifestazioni che sono state esperite nella “Notte dei Licei classici” (basta dare un’occhiata solo cursoria alle diverse locandine per rendersi conto di cosa e di quanto è stato messo in campo dalle scuole) sono emersi spunti, riflessioni, idee di grande interesse su tutti e tre gli ambiti di cui sopra si diceva e su altro ancora, capaci di riaprire il dialogo oggi periclitante tra società italiana e liceo classico.
Purché, come prima accennavo, passata ‘a nuttata, non ci si crogioli nel successo “di pubblico e di critica” dell’evento e si cerchi invece di trasferire quegli spunti, quelle riflessioni, quelle idee in una più generale, ampia proposta di sistema.
Non sarebbe male, ad esempio, se il MIUR traesse le fila di tutte le “Notti”, mettendo a disposizione di chi è interessato un quadro complessivo e sintetico delle tante iniziative intraprese.
Per parte sua, credo che questa rivista continuerà ad offrire opportuni e utili terreni di dialogo e di confronto sulla questione.
Per approfondire:
C. Salone, Il liceo dei perché
C. Salone, La “Notte dei musei”: è la notte dei musei?
Claudio Salone