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PERSONALIZZARE IL PERCORSO SCOLASTICO: COSA VUOL DIRE?

Pubblicato il: 21/11/2016 10:56:47 -


La questione dei BES rischia di spaccare gli insegnamenti tra normalità e personalizzazione
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La questione dei bisogni educativi speciali (d’ora in poi: BES) pone quotidianamente la scuola di fronte alla questione della personalizzazione del percorso scolastico. Il timore di questo lavoro è che in questo modo si possa consolidare l’idea che esistono almeno due scuole diverse:

* la scuola personalizzata con strumenti compensativi e dispensativi (legge 170/2010) per gli alunni con BES, secondo la Direttiva 27/12/2012 del Ministero dell’Istruzione;

* la scuola “normale” per tutti gli altri.

Cosa significa personalizzare la didattica

La scuola diversificata sarebbe una conseguenza immediata del pensare la personalizzazione come una più o meno ampia riduzione degli obiettivi didattici. Questo lavoro, al contrario, ritiene che la scuola sia sempre e comunque personalizzata, per gli alunni con BES come per gli alunni su livelli standard o con prospettive di eccellenza. E non perché si pensa ad un ventaglio sufficientemente ampio di modulazione degli obiettivi, ma perché si ritiene che la personalizzazione non si collochi sull’asse delle cose da imparare, cioè sull’asse delle conoscenze dichiarative, ma si collochi, invece, sull’asse delle conoscenze procedurali, e cioè del come si imparano le cose (Margiotta U. Riforma del curricolo e formazione dei talenti 1997, p.48).

La metacognizione

In modo ancora più preciso, questo lavoro ritiene che insegnare ad imparare significhi innanzitutto insegnare agli alunni a pensare i propri pensieri, ad avere consapevolezza e controllo dei propri processi cognitivi. Si tratta, insomma, di insegnare la metacognizione (Margiotta cit. p.241).

Soltanto la metacognizione permette all’alunno, prima di ripercorrere i processi cognitivi che lo hanno condotto a commettere un errore e, poi, di correggere quegli stessi processi cognitivi. Ad esempio: la metacognizione permette all’alunno di capire perché ha fatto un salto logico nella costruzione di un elaborato scritto di italiano e di darsi, quindi, le istruzioni su come correggere quell’errore e su come non ripeterlo (Margiotta cit. p.124). L’alunno, come fa lo scienziato, impara elaborando i propri errori, per il semplice fatto che i processi di apprendimento individuali sono isomorfi, cioè hanno le stesse procedure, ai processi di costruzione dei saperi (Piaget J. Le scienze dell’uomo, 1976, p.200).

A partire da qui è evidente che ogni attività didattica è tanto più personalizzata quanto più è personalizzato il percorso che ogni alunno compie per acquisire consapevolezza e controllo:

* dei propri processi cognitivi;

* degli errori presenti in questi processi e dei modi di correggerli; delle opportunità di sviluppo dei saperi, e dell’uso dei saperi, una volta che imparerà a correggere gli errori attuali e quelli che di volta in volta emergeranno nell’itinerario scolastico.

I vantaggi della personalizzazione costruita con la metacognizione

É importante tematizzare i vantaggi che questa interpretazione della personalizzazione del progetto scolastico comporta. La metacognizione permette, innanzitutto, il passaggio dalla didattica per conoscenze alla didattica per competenze, concretizzate nel sapere verso dove (Margiotta cit. p.241).

Si realizza la didattica per competenze con il passaggio dalle conoscenze semplicemente acquisite alle conoscenze investite nell’analisi e nella comprensione del reale: il teorema di Pitagora usato, ad esempio, per capire i problemi di una scala appoggiata ad un muro (Margiotta cit. 244).

La capacità di pensare i propri pensieri promuove poi: a) un effettivo recupero di difficoltà e ritardi nell’apprendimento; b) lo sviluppo dei livelli standard di apprendimento; c) la valorizzazione dell’eccellenza. L’esperienza professionale personale mi ha mostrato che nella scuola secondaria di primo grado gli effetti di consolidamento dell’apprendimento propri della metacognizione sono importanti anche per governare le ricadute sull’andamento scolastico delle tempeste scatenate dalla crescita psico-fisica tipica dell’età ( Darley J.M. et Alii Psicologia 1986 pp. 408 ss.).

Il processo metacognitivo evita, ancora, il piegarsi del profilo dell’alunno con difficoltà verso modelli subclinici e/o clinicizzati, che lo accompagnerebbero per tutta la carriera scolastica (Legge 170/2010).

Infine, la metacognizione attrezza effettivamente: a) gli alunni con difficoltà ad affrontare anche in prospettiva ravvicinata un percorso verso il mondo del lavoro che comunque richiede la presenza di alcune competenze chiave, che concretamente possiamo pensare si identifichino con buona approssimazione con quelle sondate dalle prove INVALSI di fine terza media; b) tutti gli altri alunni ad affrontare in modo efficace – senza dispersioni, senza abbandoni- un percorso scolastico di più lunga durata, università compresa, recuperando il ritardo che ci separa dal resto dell’Europa e limitando i danni che il deficit di istruzione comporta a tutto il sistema-paese (Luca Tremolada Scuola, meno studenti e meno laureati. I ritardi dell’istruzione in Italia, in “Il sole 24 ore, 12 settembre 2016) I

Il compito dell’insegnante esperto

Il compito dell’insegnante esperto è duplice.

Deve, innanzitutto, affiancare gli alunni nella costruzione, nell’analisi e nel controllo dei propri processi cognitivi. É l’attività che l’insegnante realizza quando, ad esempio, simula la realizzazione personale del compito che intende proporre agli alunni, ponendosi alcune domande e costruendo così un modello esperto di realizzazione di quel compito.

Proviamo ad esemplificare queste domande.

A livello operativo le domande potrebbero essere: con quali procedure e con quali strumenti mi preparo ad affrontare il compito- di italiano, come di matematica, come di lingua straniera- che devo svolgere? Quali procedure attivo per realizzare questo compito, ad esempio per recuperare le conoscenze pregresse? Come controllo lo sviluppo del compito? Cosa mi fa sospettare di aver commesso un errore? Come verifico questo sospetto? Come intervengo, eventualmente, per correggere l’errore? Come posso valutare il risultato del mio lavoro, visto che, ad esempio in questo caso, non contempla un risultato predefinito o pre-dichiarato?

A livello riflessivo ed epistemologico le domande potrebbero essere: quali emozioni provo svolgendo questo compito? Se provassi paura di fallire o disorientamento come farei a elaborarli? (George Kelly La psicologia dei costrutti personali, 2004, p. pp.342-356) Oltre alla conoscenza delle regole, può essermi utile l’intuizione sui possibili sviluppi del lavoro? Quando? Perché? Quando e perché devo usare un approccio olistico? Quando e perché devo usare un approccio analitico? (Gardner H. Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza Milano 1991, p. 93ss.; 148 ss. 190 ss.)

A livello didattico le domande potrebbero essere: come posso insegnare agli alunni questo modo di procedere? Sarebbe utile accompagnarli per alcune volte nell’elaborazione di compiti analoghi, in modo da affiancarli nell’acquisizione personale delle strategie proposte dal modello e far loro guadagnare l’autonomia di lavoro solo progressivamente? Quali strategie cognitive ed operative del modello potrebbero richiedere una rielaborazione per essere fruibili dagli alunni, in modo che il mio modello metacognitivo diventi il modello metacognitivo di ciascun alunno per quel tipo di compiti? Può essere utile il peer tutoring?

Le zone prossimali di sviluppo

L’insegnante esperto deve poi accompagnare gli alunni nei processi di apprendimento. Il processo di apprendimento non va lasciato come un tutto indistinto – e, quindi, ingovernabile – ma deve essere articolato, ed esplicitato agli alunni stessi secondo la logica della metacognizione, nelle zone prossimali di sviluppo (Vygotskij L. Pensiero e linguaggio 1990, p. 35). Le zone prossimali di sviluppo sono i nuovi obiettivi di apprendimento che, progressivamente, l’insegnante può affidare agli alunni, ricordando loro, per motivarli, che possono superare le difficoltà presenti in quei nuovi obiettivi perché non imparano da soli, ma in una comunità di ricerca, fatta dall’insegnante stesso e dai compagni che li affiancano nel peer tutoring.

Le zone prossimali di sviluppo sono diverse per ciascun alunno. Possiamo pensare, ad esempio, alla progressiva conquista personalizzata dei diversi modi di costruzione del periodo ipotetico. Si tratta di individuare per ciascun alunno le zone prossimali di sviluppo possibili all’interno della complessità dei processi logici che vi sono sottesi per distinguere tra realtà, possibilità e irrealtà e della scelta dei conseguenti modi e tempi verbali. In modo ancora più significativo, può essere articolata per zone prossimali di sviluppo l’acquisizione personalizzata da parte degli alunni dello stesso modello metacognitivo che abbiamo appena esposto. Qui si tratta di articolare i diversi livelli di competenze procedurali e riflessive che lo caratterizzano. In ogni caso, l’insegnante deve saper valutare i livelli diversi di difficoltà cognitive e operative delle procedure che il periodo ipotetico e il modello propongono, in quanto sono questi livelli a definire le zone prossimali di sviluppo e sono i passaggi da un livello ad un altro le soglie (Margiotta cit. p.149) che testimoniano il costruirsi dell’apprendimento personalizzato del periodo ipotetico e del modello metacognitivo. In generale, è evidente l’importanza che l’insegnante sappia individuare con precisione le possibili zone prossimali di sviluppo di tutti gli alunni in tutti i momenti dell’attività didattica.

Deve, infatti, saper orientare ogni alunno verso ciò che – in quel momento, in quello specifico compito – l’alunno può effettivamente apprendere, in modo che l’alunno realizzi un reale progresso ed eviti, nello stesso tempo, inutili fallimenti. Su questo registro l’insegnante deve pensare anche ai modi di ponderazione e valutazione del percorso attraverso ogni zona prossimale di sviluppo. La mia esperienza professionale mostra che la didattica della metacognizione e delle soglie prossimali di sviluppo, unita al regolare svolgimento del triennio, è in grado di assicurare a tutti gli alunni, alla fine del triennio stesso, il conseguimento di soglie di competenza ovviamente diverse ma comunque positive e congruenti con gli obiettivi affidati alla scuola secondaria di primo grado nel campo dell’educazione linguistica. Questa didattica sembra, infatti, in grado di portare ad equilibrio tutti i possibili elementi di squilibrio presenti nell’elaborazione cognitiva di un alunno, ad esempio i ritardi nelle unità di tempo necessarie all’apprendimento di un qualsiasi elemento della produzione testuale.

In conclusione

Potremmo dire che il processo di apprendimento, di cui l’alunno deve prendere consapevolezza, si muove, in realtà, su cinque assi:

* cosa sapere

* come sapere

* verso dove sapere

* in quali tempi sapere

* con chi sapere

Sembra difficile, ma non lo è, se l’insegnante governa questo percorso attivando e comunicando continuamente i propri modelli di costruzione dei saperi, come già si è detto. Alla fine, la vera aula, la palestra in cui gli alunni praticano i saperi, è la mente dell’insegnante. In questa direzione mi pare si muovano anche le ricerche di Novak e Gowin (1984), Gagné (1989), Ashmann e Conway (1989).

Eugenio Bastianon

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