Presidio del limite, opportunità per crescere

Due ragazzi, uno romeno e l’altro algerino, vivono da quattro anni in una città del Trentino. Fanno parte del 40 percento di stranieri iscritti al Centro di Formazione Professionale che forma meccanici. Entrambi hanno misure cautelari disposte dal Tribunale per i minori. E sono in attesa di giudizio. Nei primi mesi dell’anno non si è riusciti a contenerli e a far loro vivere un’esperienza formativa positiva. A febbraio si è deciso di fare un ultimo tentativo: un “marcamento a uomo”. Così sono stato nominato il loro “tutor ad personam”.

In effetti non c’era tempo da perdere. I due ragazzi – che qui chiamerò A. e B. – si erano costruiti un robusto curriculum fatto di regole disattese e scontri con ragazzi e docenti, acquisendo una nutrita compagine di tifosi nel gruppo dei pari i quali – qui come altrove – stanno lì a guardare, sospesi in una sorta di ‘terra di mezzo’, nella quale si attende la risposta degli adulti per scegliere da che parte stare. Occorreva una rapida presa in carico di A. e B. Che servisse anche come presidio generale delle regole.

Per i ragazzi resi precocemente adulti da esperienze negative è bene ripartire dalla motivazione, co-costruendo con loro un piano di lavoro. Così ho innanzitutto lavorato a un “contratto formativo”, nel quale erano dettagliati gli impegni assunti da ciascuno dei due, da far valere anche con il giudice; e dove veniva precisato che ogni lunedì si progettava insieme la settimana con l’elencazione degli apprendimenti irrinunciabili a scuola e di quelli relativi a sport e anche all’esplorazione delle opportunità “civili” che la città offre. Un patto scritto, con tanto di firma e data.

A distanza di due mesi, i due percorsi educativi hanno preso strade diverse. B. non è riuscito a stare nel territorio educativo così disegnato. Capita spesso che, per ogni azione di inclusione, vi sia una quota parte di ragazzi che “cade fuori”, per la quale ci vuole ancora altro. Con A. la partita è ancora aperta. I dispositivi messi in capo lentamente danno i primi risultati. Il contratto formativo è diventato la magna carta a cui ritornare ogni volta. Ma rompere momentaneamente il patto è normale che accada. Ed è infatti prevista una risposta educativa “sostenibile”: c’è una registrazione negativa alla quale fa seguito una richiesta di azione riparatrice. È certamente un esercizio faticoso sia per il tutor che per il ragazzo. Ma la manutenzione puntuale e artigianale delle regole è proprio fondata sull’assunto che per ogni azione positiva o negativa ci sia una conseguenza di un segno o dell’altro, che abbia un carattere tangibile. Allo stesso tempo è importante che si possa riparare con gesti e azioni pratiche.

Tutto il percorso viene documentato in un portfolio corredato di foto, video, autovalutazioni, attestati, diario scritto al computer ecc. Le storie di esclusione sono segnate dalla sottovalutazione dei successi. La loro “raccolta” fa parte della costante restituzione, visibile, al ragazzo delle sue opere positive: i risultati segnalati dal trainer sportivo, il tema scritto e corretto, la buona giornata in officina, l’esercizio di calcolo riuscito. Resta l’incertezza degli esiti. E alcune domande cruciali.

Quanto è possibile gestire tutto ciò entro il setting delle scuole, che sono luogo con le regole “uguali per tutti”? Quanto è sostenibile da un punto di vista finanziario un intervento cosi personalizzato? E come è possibile modellizzare tale interventi?

Carmine Amato