Immigrazione e ambienti di apprendimento: quali metodi d’indagine?
Una nuova ipotesi di ricerca.
L’inizio e la chiusura dell’anno scolastico costituiscono ormai da tempo un momento in cui si presentano cifre, numeri e statistiche. Tra fine giugno e inizio luglio la riflessione si concentra sui dati relativi agli esiti finali; mentre le cifre di gran lunga più discusse in prossimità dell’inizio della scuola riguardano la quantità di bambini e di ragazzi migranti che saranno presenti nelle nostre aule. Segno dei tempi. Basta, infatti, dare un’occhiata ai documenti ministeriali e ai rapporti Caritas degli ultimi anni per rendersi immediatamente conto che in Italia il fenomeno migratorio, tutt’altro che transitorio, corrisponde a una realtà rispetto alla quale la società civile non riesce a confrontarsi serenamente. Prova ne sia l’esistenza, nei territori con una grande percentuale di popolazione migrante, di realtà scolastiche polarizzate, e cioè di istituti, piuttosto che plessi o classi, frequentati quasi esclusivamente da migranti, a fronte dei quali esistono istituti, plessi o classi frequentate quasi esclusivamente da bambini di cittadinanza italiana.
Un esempio di realtà scolastiche polarizzate nello stesso territorio si trova nel quartiere Esquilino di Roma: nell’Istituto Comprensivo Manin, il plesso Di Donato della scuola primaria, realtà che frequentiamo in qualità di genitori e/o insegnanti, ha 14 classi con un totale di 234 bambini. Di questi 150 non sono cittadini italiani e provengono da 29 differenti paesi del mondo. Quindi, i bambini migranti corrispondono in questo plesso al 64,46%, percentuale unica in tutto il territorio del Primo Municipio. Altro dato importante da rilevare per dare un’immagine della realtà scolastica in cui lavoriamo, è che tra i bambini migranti presenti nella nostra scuola, solo il 19,23% è nato all’estero. Questa percentuale relativamente bassa di bambini che migrano con la propria famiglia dopo la nascita, unita alla presenza nella nostra scuola di alunni con cittadinanza italiana per il rimanente terzo dell’utenza, rende la situazione della Di Donato suscettibile di due diverse interpretazioni. Da un lato tali cifre, se confrontate con le altre realtà scolastiche di quartiere, connotano il plesso come la ‘scuola dei migranti’; dall’altro, considerando come migranti solo il 19,23% che non è nato in Italia, queste stesse cifre connotano la scuola come mista. E questo non solo grazie alla presenza del 35,34% di bambini frequentanti con cittadinanza italiana, ma anche in virtù del fatto che la maggior parte dei bambini con cittadinanza non italiana, nati in Italia e/o residenti fin dalla nascita nel nostro Paese, hanno già frequentato la scuola dell’infanzia del nostro istituto, e quindi arrivano alla scuola primaria già scolarizzati. Possono, insomma, essere considerati a tutti gli effetti come migranti di seconda generazione.
Inoltre, a giudicare dalle iscrizioni degli ultimi tre anni nel settore dell’infanzia, ci è possibile ipotizzare che il nostro istituto si stia gradualmente aprendo all’utenza italiana. Sono, infatti, sempre più numerose quelle famiglie italiane che scelgono la Di Donato consapevoli che è proficuo investire sull’educazione dei loro figli in un contesto misto, laddove, però, la spontaneità dell’integrazione è accompagnata da una solida politica dell’accoglienza. È infatti da anni che alla scuola Di Donato dirigenti scolastici e corpo docente mettono in atto una pratica educativo-didattica che, limitandoci a sottolinearne un solo elemento, si caratterizza per saper organizzare non solo le risorse interne, ma anche quelle territoriali, permettendo alla scuola di essere in osmosi con il quartiere e di incuriosire anche i più scettici.
Come emerge da queste semplici e fin troppo brevi considerazioni sulla realtà scolastica in cui lavoriamo o che frequentiamo, l’analisi dei fenomeni di addensamento e dei flussi d’utenza nella scuola è complessa e articolata: si sviluppa a più livelli e pretende una riflessione seria sui diversi elementi che, combinandosi e stratificandosi, determinano situazioni polarizzate e quindi non integrate.
Ora, la questione che si vuole affrontare nell’ambito di un’analisi così ampia, riguarda lo studio degli ambienti di apprendimento scelti in base alla variabile della maggiore o minore presenza di bambini migranti nella scuola. Infatti, partendo dalla consapevolezza che il contesto non è solo la cornice all’interno della quale si impara, ma anche il luogo d’azione in cui si generano e si elaborano le conoscenze, quello a cui si aspira è una riflessione sulle opportunità formative ed educative dei diversi ambienti di apprendimento. Si vuole, cioè, cercare di capire cosa e quanto imparano i bambini, italiani e non, nei vari contesti: sia quelli omogenei, che quelli eterogenei.
L’aver scelto un simile taglio per una ricerca futura, dipende da una duplice esigenza: rispondere alla diffusa diffidenza verso la presenza dei bambini di cittadinanza non italiana in classe, riflettere sullo sviluppo delle attitudini comunicative e relazionali in ambienti interculturali.
In merito al primo punto, si tratta di assumere, come stimolo per la ricerca, la perplessità della componente genitoriale riguardo la fattibilità del programma scolastico all’interno dei gruppi classi eterogenei. Per confutare questo atteggiamento di ostilità dell’utenza italiana verso le classi a composizione mista e verso il cambiamento dei processi d’apprendimento che ne deriva, saranno valutate le performance di apprendimento strettamente disciplinari e le abilità di problem solving. Il primo indicatore di qualità utile all’analisi sarà quindi la valutazione delle conoscenze, delle competenze e delle abilità acquisite dai bambini migranti e non durante il loro percorso scolastico.
Relativamente al secondo punto, l’intento è quello di verificare se, come è lecito supporre, ci sia all’interno degli ambienti multietnici un incremento delle competenze relazionali e comunicative. E ci si riferisce a quell’insieme di competenze cognitive, emotive ed empatiche che, sollecitate laddove la diversità si costituisce come elemento caratterizzante l’ambiente di apprendimento, condizionano lo sviluppo di abilità specifiche quali il riconoscimento della diversità sociale, culturale, religiosa; e la maggiore capacità di saper leggere le varie situazioni sapendo interagire con le persone in tutta la loro diversità e complessità. Si tratta di abilità che intervengono direttamente nel saper fare, e cioè nell’utilizzare le conoscenze mettendo in atto strategie operative originali e creative in situazioni nuove e ambigue. Alla luce della complessità che i processi economici globalizzati stanno imponendo allo sviluppo degli individui nella nostra società, possedere un bagaglio identitario multiplo, come è per gli alunni di seconda generazione, potrebbe rivelarsi un vantaggio più che un handicap. Infatti, grazie alla doppia appartenenza, derivata dalla comunità migrante da una parte e dalla scolarizzazione italiana dall’altra, i bambini di seconda generazione sembrano affrontare e riconoscere prima di altri i problemi della multidentità.
Il secondo indicatore di qualità sarà pertanto legato alla somministrazione di test di problem solving, ovvero alla capacità di saper far fronte alle difficoltà con soluzioni originali. Si tratta di un’abilità che non va sottovalutata, visto il difficile percorso professionale che probabilmente le nuove generazioni si troveranno ad affrontare negli anni futuri.
Evidentemente, proprio perché rivolto all’analisi degli ambienti di apprendimento diversificati in riferimento alla variabile della maggiore o minore presenza di migranti, l’idea è quella di svolgere la ricerca su tre differenti gruppi campionati su territorio nazionale, privilegiando le aree urbane ad alta concentrazione di popolazione migrante. I tre gruppi potrebbero essere caratterizzati come segue:
• 1/3 classi con utenza di bambini “non italiani” inferiore al 10%,
• 1/3 classi con utenza di bambini “non italiani” compreso tra il 30% e il 60%,
• 1/3 classi con utenza di bambini “non italiani” superiore all’80%.
Occorre subito sottolineare come questa tripartizione non sia focalizzata sull’analisi di caratteristiche specifiche delle singole comunità di migranti. Pensiamo, infatti, che la variabile dell’appartenenza al gruppo di provenienza sia meno incisiva per quanto riguarda l’apprendimento tout court, rispetto alla variabile socio-economica e motivazionale delle famiglie e dei bambini. E questo nonostante la consapevolezza che nell’apprendimento della lingua italiana, molto incide l’appartenenza a un gruppo linguistico.
È proprio alla luce di questa convinzione che un altro indicatore di qualità del progetto viene individuato nella elaborazione e somministrazione di questionari ad hoc per bambini, famiglie e insegnanti. Attraverso i questionari a risposta chiusa rivolti agli alunni si vogliono raccogliere i dati sulle variabili strutturali, relazionali e di atteggiamento. Quindi, si cercherà di rilevare per ogni alunno il percorso migratorio, la motivazione e la soddisfazione nello studio, le relazioni sociali rispetto al gruppo di appartenenza e alla comunità ospitante, l’approccio alla scuola e le aspettative per il futuro. Similmente, il questionario rivolto alla componente genitoriale cercherà di rilevare il percorso migratorio, il livello d’istruzione, il coinvolgimento nel processo educativo e scolastico dei proprio figli, l’investimento e le aspettative per il futuro anche in riferimento alla mobilità sociale e territoriale. Infine, per quanto riguarda il questionario da sottoporre alle insegnanti, bisognerà fare emergere l’adesione dei docenti a un progetto sociale e civile d’integrazione, la loro capacità di investire positivamente su un contesto interculturale sfruttando le risorse che esso può offrire e l’investimento nel successo scolastico dei bambini migranti.
Tutte queste informazioni saranno utilizzate per la valutazione della performance di ogni alunno, considerata come risposta di un modello statistico econometrico multivariato e gerarchico che tenga conto delle variabili rilevate nei questionari. L’elaborazione di questo modello statistico costituisce il quarto indicatore di qualità della ricerca ipotizzata.
L’ultimo elemento di forza del progetto sta nel fatto che, data l’ampiezza del tema sul quale vogliamo indagare, riteniamo opportuno volgere uno sguardo interdisciplinare verso l’argomento. È per questo che il progetto dovrebbe prevedere un gruppo di ricerca che possa includere esperti di statistica, insegnanti, esperti di sistema della formazione, studiosi di filosofia, pedagogisti, sociologi, antropologi, psicologi, economisti.
L’opportunità di creare un gruppo di ricerca interdisciplinare non è solo legata alla complessità dell’argomento indagato, ma anche ad altre due circostanze che è bene rilevare e sottolineare.
Innanzitutto, è necessario colmare il vuoto che c’è oggi in Italia sui modelli di analisi e raccolta dati in materia di valutazione qualitativa e quantitativa dei bambini migranti.
In secondo luogo, è diventato ormai urgente nel nostro Paese affrontare la questione dei bambini migranti presenti nelle nostre scuole con consapevolezza, chiarezza e lucidità, per sgombrare da spettri e paure il tema della migrazione e del rapporto con il migrante e in generale con il cittadino non italiano. Il migrante di seconda generazione è per noi un fenomeno nuovo, ancora tutto da indagare, molto più che in altri Paesi europei, come Gran Bretagna, Germania, Francia, Belgio, Svezia, Paesi Bassi.
Operare con consapevolezza in un contesto di ricerca sulle performance scolastiche significa assumere come posizione preliminare che non ha alcun senso valutare i bambini senza indagare in modo collaterale sul corpo docente e senza tener conto delle variabili familiari, socio-economiche, culturali, psicologiche e motivazionali.
Operare con consapevolezza significa inoltre non limitare la valutazione a contenuti disciplinari e non sottovalutare un confronto con la valutazione dei bambini di cittadinanza italiana. Ed è proprio questa disposizione iniziale che ci permette di interrogarci sui contesti educativi, piuttosto che sul successo/insuccesso scolastico degli alunni, quali che siano le loro provenienze.
Operare con chiarezza e lucidità in materia di valutazione, significa, infine, riflettere a partire dai dati oggettivi e offrire al dibattito un punto di vista interno alla riflessione sui bambini migranti nella scuola finalmente emancipato da pseudo convinzioni socio-politiche e coinvolgimenti emotivi. In Italia, infatti, si oscilla tra diffusi, radicati, e a volte anche radicali atteggiamenti di paura, diffidenza, chiusura verso lo “straniero”; e facili, quanto irritanti, atteggiamenti di sottovalutazione del fenomeno migratorio in nome di un vago, indefinito e inutile cosmopolitismo.
All’estero nuovi metodi d’indagine, multidisciplinari, internazionali e comparativi.
In questo momento in Europa e in America si stanno attuando nuove ricerche sul tema del rapporto tra educazione e immigrazione che hanno un approccio multidisciplinare vicino a quello da noi ipotizzato. Le riflessioni in corso, frutto di progetti internazionali, permettono indagini di tipo comparativo tra Paesi e comunità migranti che hanno tra loro storie molto diverse in materia di percorsi educativi e migratori. Si tratta di progetti di ricerca che possono offrire, in merito alla composizione del team di lavoro e agli obiettivi dell’indagine stessa, spunti originali per l’analisi del nostro quadro nazionale.
In un confronto con la situazione in altri Paesi europei, il primo dato da osservare è che la nostra realtà d’immigrazione ha ancora cifre notevolmente ridotte: 7,1%, rispetto ad esempio al 12% della Spagna, anche se notevole è l’incremento percentuale annuale (attorno al 15%) della presenza di bambini non italiani nelle nostre scuole, aggravato dalla bassa natalità delle coppie italiane. Poco è stato fatto per affrontare il fenomeno e molto è ancora possibile fare in Italia. Essere aggiornati su quali siano le ricerche in corso all’estero, può essere comunque di notevole aiuto, considerato che, secondo recenti studi, gli studenti di seconda generazione rappresentano ormai più della metà del numero totale degli studenti europei e americani. Il successo del processo d’integrazione di questi studenti nelle scuole, e di conseguenza nelle nostre società, gioca evidentemente un ruolo sempre più cruciale per il futuro dei Paesi occidentali.
Tra i vari progetti in corso e gruppi di ricerca di tipo nuovo, ci limitiamo a segnalare i due che più conosciamo: il progetto triennale euroamericano “The children of immigrants in schools”, da poco terminato, e il Laboratorio di ricerca Emigra, gestito da Silvia Carrasco Pons all’interno del Dipartimento di Antropologia Sociale e Culturale della UAB, Università Autonoma di Barcellona. Queste ricerche internazionali sembrano assumere in modo nuovo i termini della riflessione, focalizzando l’attenzione sia sui problemi d’identità multipla, molto evidente negli studenti migranti di seconda generazione, che sull’individuazione di politiche educative che tengano maggiormente conto di questi nuovi cittadini dei Paesi occidentali, cercando di identificare nuovi spazi d’apprendimento e di analizzare esperienze di educazione interculturale che possano esaltare le nuove soggettività che si stanno facendo largo all’interno delle nostre scuole pubbliche, anziché soffocarle in una concezione educativa che non tenga conto dei forti cambiamenti in corso a livello sociale. I due progetti si sono svolti in collaborazione tra partner accademici di vari Paesi europei e di alcune università nordamericane, con l’obiettivo di approfondire – a partire da un ambito di tipo antropologico più che strettamente pedagogico – la comprensione del ruolo delle istituzioni e delle politiche scolastiche nell’integrazione dei figli di migranti, favorendo nel contempo la formazione di giovani studiosi (sia europei che americani) che sono stati abituati a lavorare all’estero in collaborazione con altre università e con studiosi di campi di studio diversi dal proprio. La novità, rispetto alle ricerche precedenti, sembra essere nell’ottica internazionale e interdisciplinare adottata dai ricercatori, quasi a ripercorrere, attraverso un’ibridazione disciplinare e linguistica del loro stesso lavoro, il percorso multidentitario caratteristico del proprio soggetto di studio, il bambino migrante di seconda generazione. Il ricercatore, lavorando in Paesi e con lingue diverse dalla propria, tende a essere lui stesso diverso e “straniero” rispetto al contesto che analizza.
L’acronimo del laboratorio di ricerca catalano EMIGRA corrisponde ai soggetti e al tipo d’indagine auspicata, ovvero “Educazione, Migrazione, Infanzia, Gruppo Ricerca Antropologica”. EMIGRA si occupa dal 2005 del rapporto tra educazione, migrazione e infanzia, studiando dimensione e impatto di diversità culturali e disuguaglianze sociali nelle società in via di trasformazione dell’area mediterranea, dai Paesi del sud dell’Europa a quelli del Nordafrica. Il Gruppo di ricerca ha sviluppato un metodo comparativo e una sensibilità fortemente interdisciplinare che utilizza, partendo sempre da una prospettiva antropologica, ma non solo, studi comparativi e pedagogici, come di sociologia applicata. Recentemente, siamo state invitate a partecipare ai lavori di un Exploratory Workshop sul tema “Immigration and Education in Southern Europe”, svoltosi dal 12 al 14 novembre 2009 a Barcellona. Il seminario, finanziato dalla European Science Foundation, ha visto la partecipazione di studiosi di varie discipline, provenienti da tutti i Paesi dell’area mediterranea, che hanno esposto ricerche svolte in Portogallo e in Spagna nei confronti dei bambini migranti provenienti dalle ex colonie, ma anche relazionato sui nuovi fenomeni migratori di cui sono protagoniste la Grecia, Cipro e Malta, come sui flussi migratori importanti, diretti verso l’Europa, che in questi ultimi anni coinvolgono il Marocco e la Turchia.
Il coordinatore del progetto euroamericano “The children of immigrants in schools” è Richard Alba, docente dell’Università di Albany, State University of New York, con la supervisione del Social Science Research Council (http://www.ssrc.org), organismo americano indipendente preposto allo sviluppo della ricerca nell’ambito delle scienze sociali. Il progetto, finanziato dalla US National Science Foundation attraverso il programma PIRE, sigla che sta per Partnerships for International Research and Education, aveva lo scopo di individuare traiettorie educative da suggerire alle istituzioni scolastiche che operano con bambini migranti. Durante i tre anni di svolgimento della ricerca, i partner hanno lavorato insieme alla realizzazione di ricerche comparative internazionali che mettano a confronto le strategie adottate negli Stati Uniti con quelle europee attraverso cinque gruppi di ricerca, ognuno su un tema specifico. Questi studi si occupano di una vasta gamma di gruppi etnici, selezionati perché rappresentano popolazioni che devono far fronte a sfide maggiori nel contesto di politiche nazionali diverse: messicani negli Stati Uniti e nordafricani in Francia; dominicani in USA e marocchini in Olanda; indiani e asiatici sia in USA che in UK; messicani in USA e marocchini in Spagna. Tra questi segnaliamo quello dei ricercatori Carola Suarez-Orozco (Dipartimento di Psicologia, Steinhardt School of Education, New York University) e Mikael Alexandersson (Dipartimento di Educazione, Göteborg University) su “Innovative, promising practice schools for children of immigrants”, e quello di Margaret Gibson (docente di Education and Anthropology all’University of California, Santa Cruz) insieme con Silvia Carrasco Pons (docente di Social and Cultural Anthropology, Universitat Autònoma de Barcelona, direttore di EMIGRA) dal titolo “Navigating borders in schools and communities: Moroccan and Mexican immigrant youth in Catalonia and California”. La descrizione del progetto “The children of immigrants in schools” è disponibile in inglese al sito http://mumford.albany.edu/schools/index.htm, che contiene anche i paper finali dei cinque studi. Al convegno conclusivo di progetto abbiamo partecipato l’autunno scorso, entrando così in contatto con ricercatori validi e di comprovata pluriennale esperienza come Margaret Gibson.
Segnaliamo inoltre la rivista americana “Teachers’ Record”, che ha dedicato un numero recentemente pubblicato (novembre 2009, n. 6/2009, volume 111) al tema dell’educazione dei minori di seconda generazione in una prospettiva fortemente comparativa, anche qui mettendo a confronto istituzioni scolastiche europee ed americane. Informazioni su questa rivista, e gli articoli stessi, sono disponibili, in inglese, al sito: http://www.tcrecord.org/Issue.asp?volyear=2009&number=6&volume=111.
In conclusione, molto si muove all’estero mentre l’Italia rischia la strada solita dell’immobilismo. Sarebbe invece necessario un intervento lucido, attento e competente, che tenga conto dell’esperienza degli altri Paesi e che ascolti e rispetti le esigenze di questi nuovi cittadini, per trasformare la sfida posta dal fenomeno migratorio in opportunità per il futuro del Paese. Inoltre, sarebbe necessario dare spazio anche in Italia a una ricerca interdisciplinare e comparativa che possa permettere ai nostri amministratori di avere elementi per agire in favore e non più contro il fenomeno migratorio. Sarebbe utile, infine, che ai nostri insegnanti siano forniti gli strumenti e le informazioni adatte per intervenire con competenza e cognizione di causa nelle nostre bistrattate scuole pubbliche. La domanda è: cosa stiamo aspettando?
Minima sitografia dei due progetti internazionali.
In USA:
• Children of Immigrants in Schools
• IAIE – International Association of Intercultural Education. Anthropology of Childhood
• CAE – Council of Anthropology & Education
• ISCI – International Society for Child Indicators
In Spagna:
• EMIGRA
• ASE – Asociación de Sociología de la Educación
• CIIMU – Consorci Institut Infància i Món Urbà
• Observatori Català de la Joventut – Grup de Treball d’investigadors en joventut
Borelli Iacomini e Mezzetti