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C’è anche un’altra Prato, italiana e cinese, ed è nelle scuole

Pubblicato il: 06/12/2013 15:43:15 -


A Prato non c’è solo il dramma sociale dei capannoni, in cui si vive e si lavora in schiavitù, che spesso può trasformarsi in tragedia umana; ci sono anche i passi sulla via dell’interazione culturale e sociale. Nella terra di mezzo, come accade spesso, ci sono le scuole che armonizzano culture diverse. Bisognerebbe non dimenticarsene.
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C’è anche un’altra Prato, cinese e italiana, ed è nelle sue scuole.
Nel 2012 all’Istituto Tecnico Dagomari gli iscritti “non italiani” erano 476 su 910, il 52,3%.
Un record nel record più generale del sistema scolastico pratese che col suo 19,9% medio di studenti di origine straniera – uno su cinque – si piazza avanti alla top five delle province di Piacenza, Mantova, Cremona, Reggio Emilia, Modena. Le nazionalità non italiane nelle scuole di Prato sono 82, ma quella cinese fa da sola il 43% del totale.

Al Dagomari sono tanti i ragazzi cinesi iscritti all’indirizzo commerciale, le famiglie lo scelgono perché i figli imparino quello che serve a gestire le loro aziende tessili (ce ne devono essere, dunque, di assai diverse dalla “Teresa Moda” del rogo di domenica scorsa).
La secondaria superiore, si sa, è il banco di prova più difficile, non si va avanti se l’italiano non è abbastanza conosciuto da essere anche “lingua per lo studio”, e anche al Dagomari i problemi non mancano.
Ma, poco a poco, le cose stanno migliorando. Se fino a qualche tempo fa nel primo biennio circa la metà degli iscritti veniva bocciata o abbandonava gli studi, ora cresce progressivamente il numero degli studenti che arriva al triennio e poi al diploma.
Le “eccellenze”, che ci sono, sono evidenziate dagli insegnanti e presentate sui media locali come un successo di cui tutta la città deve andare fiera.
I ragazzi cinesi che ce la fanno, parlano agli altri connazionali – e all’intera comunità – dicendo che ci sono possibilità e speranze diverse da quelle che devono subire i coetanei massacrati di fatica e d’isolamento nei capannoni-dormitorio. Sono un esempio che si spera possa contare.

La scuola pratese lavora in modo sistematico e molto creativo per raggiungere lo scopo d’integrare e di sostenere negli studi i ragazzi d’origine straniera.
Le difficoltà complessive della scuola italiana di questi anni si sentono anche lì, ma non si traducono in calo d’impegno da parte dei docenti.
In un convegno del 2013, promosso dalla Provincia di Prato, dirigenti scolastici e insegnanti hanno raccontato le strategie organizzative e didattiche messe a punto attraverso:
– protocolli d’accoglienza;
– laboratori linguistici;
– preparazione di testi “facilitati” sulle esperienze di “Peer Education”;
– tutoring sui “neoarrivati”;
– iniziative per l’intercultura e per l’orientamento (che a Prato, più che altrove, è prima di tutto contrasto del lavoro minorile).

La scuola pratese, fortunatamente, non è sola, un solido accordo interistituzionale tra Enti locali e Amministrazione scolastica genera molto di quello che serve:
– la formazione degli operatori;
– la collaborazione con le università;
– la definizione di regole e di criteri condivisi per le iscrizioni e per la formazione delle classi;
– il sostegno alle reti e alle comunità professionali per lo scambio di esperienze e di materiali didattici;
– i mediatori linguistici e culturali.

Tutta quest’organizzazione è documentata ed è visibile in un apposito portale-osservatorio che dà conto delle iniziative e dei risultati.
Le risorse vengono stanziate, soprattutto, dalla Regione Toscana che ha destinato, in tre anni, alla sola realtà pratese 5 milioni di euro per realizzare l’integrazione scolastica degli stranieri.

La comunità cinese, o almeno la sua rappresentanza ufficiale, vede tutto ciò e approva, impara a fidarsi, a confrontarsi e a condividere.
C’è anche chi finalmente comincia a rendersi conto dei rischi dei ricongiungimenti familiari troppo dilazionati, degli arrivi e delle iscrizioni durante il corso dell’anno scolastico di alcuni adolescenti che hanno studiato solo in scuole cinesi, completamente digiuni di lingua e cultura italiana.
Ma i terremoti cammineranno, come sempre, sulle gambe delle seconde generazioni.
Dopo G2, l’associazione multietnica dei ragazzi nati in Italia da genitori stranieri che ha svolto un ruolo protagonista con la campagna “Italia sono anch’io” per far valere il diritto di cittadinanza a chi è nato in Italia e sente l’Italia come il suo vero paese, è nata anche “Associna”, una G2 in salsa cinese, che tempo fa ha scritto una lettera aperta “ai genitori cinesi” invitandoli ad avere una maggiore apertura nei confronti del paese in cui vivono, a identificarsi di più nelle sue regole e nel suo stile di vita, a lasciare che i figli si costruiscano una loro strada anche fuori dalle tradizioni (scatenando, all’interno delle comunità, qualche salutare inizio di discussioni).

A Prato, come altrove, l’immigrazione non è solo “risorsa” economica e sociale, come si predica troppo spesso, può essere anche elusione delle regole fondamentali, lavoro irregolare, negazione dei diritti e criminalità.
Ma i processi di stabilizzazione possono cambiare rapidamente il quadro, e anche di questo i segni si vedono, soprattutto, nelle scuole.
Prato è la prima provincia italiana per percentuale di residenti stranieri nati in Italia (21,1% al 31 dicembre 2011).
Nella fascia d’età 0-17 anni i nati in Italia sono ormai il 78,5%, solo un minore straniero su 5 è immigrato dallo stesso paese di cittadinanza o da un altro paese estero.
Non tutti i minori stranieri vanno a scuola, e non tutti quelli che ci vanno lo fanno senza cadute e arrivano fino al diploma, ma i numeri ci dicono che le trasformazioni corrono, e che i problemi più acuti stanno diminuendo.
Nella scuola per l’infanzia di Prato i nati in Italia sono il 91,8% dei bambini stranieri; nella scuola primaria, il 78%; nella scuola media il 48,5%; nella secondaria di secondo grado – l’ultima in ordine di tempo investita dalla nuova scolarità – solo il 24,2%.

Ma nel 2012 gli iscritti alla prima superiore si avvicinano di molto al numero dei ragazzi stranieri usciti l’anno prima dalla scuola media. L’integrazione, si sa, non passa solo dalla scuola, e comunque a Prato sono ancora tanti gli stranieri, e soprattutto i cinesi adulti – e sicuramente anche minori – che sfuggono perfino alla registrazione di residenza.
Il lavoro minorile è molto diffuso, quello coatto non è scomparso.
Ma se in città sono probabilmente molto diffuse connivenze e complicità di pessimo conio, si moltiplicano anche le iniziative che vanno in direzione opposta. Se c’è una scuola cinese d’italiano, ce ne sono anche altre pubbliche e private di ambito sociale per l’apprendimento linguistico certificato, l’integrazione sociale e lo scambio interculturale. E poi biblioteche, laboratori teatrali, luoghi dove si fa musica per tutti.

Quella terribile porzione di realtà spalancata dai morti della “Teresa Moda”, dunque, non è tutto. C’è anche un’altra realtà, due città in una che ancora non si parlano ma, che potrebbero imparare a farlo.
Non c’è solo la tragedia sociale dei capannoni in cui si vive un lavoro da schiavi, ci sono anche i passi sulla via dell’interazione culturale e sociale.
Nella terra di mezzo, come sempre, ci sono le scuole.
Bisognerebbe non dimenticarsene.

Per approfondire
– Provincia di Prato. La scuola pratese, rapporto 2012
– Il portale dell’Osservatorio scolastico provinciale
– Il sito web del progetto SIC – ScuolaIntegraCulture

Fiorella Farinelli

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