Investire sull’immaginazione
La significativa espansione degli asili nido sul territorio nazionale prevista nel PNNR potrà adeguare il fabbisogno di strutture e di personale ma anche realizzare una maggiore attenzione alle tematiche dell’immaginazione nello sviluppo infantile.
Nella cosiddetta istruzione inferiore l’Italia è particolarmente deficitaria, specie nelle regioni del Centro sud, rispetto agli standard europei: per questo la Missione 4 del PNNR prevede un intervento di 4,6 miliardi per l’ampliamento dell’offerta di asili nido con un aumento di 228.000 posti. La cronica carenza di servizi educativi per l’infanzia in vaste aree del Paese riduce sensibilmente il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro, consolidando uno squilibrio sociale che incide negativamente e a lungo nella vita delle persone. Il PNRR intende perseguire «la costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza degli asili e delle scuole dell’infanzia al fine di migliorare l’offerta educativa sin dalla prima infanzia e offrire un concreto aiuto alle famiglie, incoraggiando la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la conciliazione tra vita familiare e professionale ».
Non solo più aule ma anche più attenzione alla crescita cognitiva del bambino
Ma oltre questi rilevanti aspetti vale la pena considerare anche il fattore rappresentato dallo sviluppo in età infantile: negli ultimi decenni le neuroscienze hanno potuto stabilire che il futuro della mente si forma già nei momenti di precoce concentrazione infantile, e che il primo periodo di vita del bambino, con la complessa crescita delle reti neuronali, ha una influenza determinante sulle successive stagioni.
Infatti verso i due-tre anni si verifica il picco del numero di connessioni per neurone, mentre la successiva decrescita è dovuta alla necessaria potatura delle sinapsi inutili. Tutti eventi indispensabili alla maturazione delle funzioni cerebrali e indubbiamente, in queste fasi, il fattore ambiente, con una ricchezza di attenzioni e stimoli, rinforza e modella le reti di neuroni, mentre, nella direzione opposta, un ambiente fortemente deprivato non può che realizzare minori possibilità.
«L’uomo è esposto a due flussi di informazioni: uno proviene dal mondo esterno e l’altro dal cervello.” enuncia Swaab ne Il cervello creativo (Castelvecchi) «Creare nuove combinazioni con il materiale fornito da questi due flussi è l’essenza della creatività ».
Insomma nella primavera della vita c’è parecchio movimento nella nostra testa, è una stagione con prevalenti fattori estetici in cui il genio dell’infanzia comincia lentamente a germinare e a porre le basi per ciò che avverrà dopo; anche se non esiste una stagione ideale per il picco di tutte le performances cerebrali insieme, il che riserva qualche interessante chance anche alla stagione autunnale.
Ma torniamo alla prima infanzia, quando il periodo dell’imagocentrismo – rappresentato dalla combinazione di forme, colori e suoni prima delle parole – viene affiancato da quello del logocentrismo, con la preminenza della parola in tutti i nostri schemi mentali, per sottolineare nuovamente che l’inizio dello spettacolo ha certamente bisogno di un surplus di creatività, e di espandere e arricchire il patrimonio dell’immaginazione.
Immaginare, immaginare
Con l’immaginazione siamo in mare aperto, siamo sulla vetta di una montagna e viaggiamo tra le stelle, con l’immaginazione siamo acrobati senza rete, sentiamo di non poter più separarci dal nostro daimon, anche a rischio di annegare o di sfracellarci, perché noi siamo ciò che immaginiamo!
E lo siamo in tutti i momenti della nostra vita, quando dormiamo perché sogniamo, durante il giorno perché seguiamo i nostri pensieri o perché raccontiamo una storia e nei pensieri e nei racconti spesso dobbiamo affidarci all’immaginazione; lo siamo quando ricordiamo episodi della nostra vita e, perfino, quando usiamo metafore perché le nostre parole rimangano meglio impresse negli altri. L’immaginazione è trasversale a tutte queste diverse attività della nostra mente: il pensiero, il ricordo, il sogno e, ovviamente, il racconto.
Noi siamo ciò che immaginiamo anche quando impariamo, anche quando siamo nel luogo deputato all’apprendimento: la scuola.
A scuola non c’è mai stata una materia chiamata “Immaginazione”, per fortuna, altrimenti tra programmi, orari e cattedre sarebbe rimasta a zampettare sul campo senza mai alzarsi in volo. Ma non c’è dubbio che la scuola debba e possa potenziare anche la nostra immaginazione, a patto che ne riconosca l’importanza, perché a scuola si tende a relegare l’immaginazione soltanto nell’ambito della narrazione o delle arti visive: chi inventa storie ha bisogno di trivellare continuamente i pozzi per estrarre la materia prima necessaria ai propri racconti. Ma l’immaginazione –nata con noi nel nostro cervello – accompagna, in maniera discreta, la nostra vita in tutte le sue stagioni, come una musa amica nell’olimpo delle facoltà umane, per sovrintendere e proteggere questo diffuso, e pure così intimo, desiderio di osservare la realtà con le lenti immaginarie della nostra mente.
E allora la conclusione non può essere certo che l’immaginazione è una sorta di insegnamento trasversale (come l’educazione civica… a proposito che fine ha fatto?), ma è la materia di cui sono fatti i sogni e, come tale, va trattata con la dovuta cautela e spensieratezza nelle varie stagioni della vita scolastica. E nella prima infanzia la scuola può dover funzionare come una grande scatola magica, dove dopotutto avvengono le metamorfosi più clamorose del nostro cervello.
Immaginazione a scuola ma con immaginazione
Una dose continua di immaginazione è l’appeal che oggi manca alla scuola? Può darsi, ma è certamente quello di cui hanno bisogno i cervelli in rapido sviluppo dei bambini e poi dei ragazzi, e la significativa espansione degli asili nido sul territorio nazionale potrebbe realizzare quell’attenzione alle prime tematiche legate all’immaginazione.
Nel pianeta dell’infanzia accanto ai territori dell’autonarrazione ci sono quelli del racconto orale in cui una voce, più spesso femminile, ci fa vedere i personaggi e gli sviluppi della storia. Piccole storie destinate a contaminare, a loro volta, e ad arricchire le invenzioni più semplici. ‘Far vedere’ non è una necessità assoluta della narrazione, ma è certamente una caratteristica di celebrata potenza seduttiva, capace di condurre il bambino in contesti talvolta più ampi, e perfino diversi, da quelli in cui il narratore avrebbe voluto confinarlo. La scuola insegni a immaginare» predica Rob Hopkins, ambientalista inglese fondatore del Transition Movement, che in un’intervista a Repubblica (9 dicembre 2020) cerca di porre l’accento sull’apporto che l’immaginazione può fornire alla difesa dell’ambiente, a partire dai giochi infantili a scuola per approdare a riconoscere, nella fase dello sviluppo, che la partecipazione emotiva è un fattore essenziale dell’apprendimento e che non può esistere cognizione senza emozione.
E ancor più appare necessario riconoscere che il rapporto tra immaginazione e realtà è, per sua natura, dinamico e, quindi destinato a reinventarsi al mutare degli eventi e delle condizioni in cui è costretto a operare. Come nel Don Chisciotte.
Immaginazione e realtà
Cervantes ha in comune con il suo personaggio la stessa immagine di partenza, la stessa imago mentis, perché autore e personaggio sono mossi dalla coscienza del ritardo con cui affrontano le rispettive imprese. «“Tante erano le offese che egli pensava di cancellare, le ingiustizie da raddrizzare, gli errori da correggere, gli abusi da emendare e i debiti da ripagare ». ”
Insomma la decisione dell’autore di scrivere di un cavaliere errante e quella del personaggio di diventare un cavaliere errante sono determinate dall’unica volontà di mettere in pratica i precetti di valore e onestà che il mondo reale aveva offuscati.
Una decisione tardiva che aveva lasciato inevitabilmente spazio alla consapevolezza dell’inanità dell’impresa, ma il paradosso di Cervantes è proprio questo: la giustizia è perentoriamente necessaria anche se il mondo rimane profondamente ingiusto. Da qui la pazzia di Don Chisciotte, una pazzia che si nutre continuamente di visioni particolari che rafforzano, di avventura in avventura, lo status di cavaliere errante dalla triste figura.
Don Chisciotte vede giganti dove ci sono mulini a vento, vede guerrieri invece di greggi di pecore, crede in cavalli volanti e incantatori che la sua immaginazione visionaria proietta davanti ai nostri occhi con l’energia necessaria a sfidare la realtà. Proprio quest’energia ha realizzato, nei secoli, una mutazione rara ma non impossibile: Don Chisciotte è diventato un personaggio reale, dotato di un passione impetuosa per le sue incrollabili convinzioni, un’immagine reale delle nostre menti e del nostro linguaggio. La sua pazzia è stata contagiosa perché siamo ormai convinti della sua esistenza: è la sua vittoria sul mondo reale, il comportamento donchisciottesco è diventato un’arma potente contro le ingiustizie diffuse, un modo di essere certo non comune, ma che spesso ha guadagnato le scene della realtà. È l’imago mentis più forte della cosa reale?
No, se accettiamo di considerare che realismo e finzione vivono in simbiosi e non in opposizione, perché il primato della realtà non è assoluto ma ha bisogno di essere reinventato, rappresentato e, spesso, riversato in una storia la cui trama ci rende partecipi di infinite combinazioni di senso che impollinano l’identità di ciascuno di noi.
L’immaginazione, per fortuna, mostra tutta l’insufficienza di un pensiero non inclusivo e, nello stesso tempo, mantiene la memoria degli avvenimenti e delle persone che hanno intrecciato la nostra trama. Perché il potere immaginativo vive dei legami che crea tra entità diverse, come la fisica che, dopo aver esplorato una realtà fatta di particelle di materia guidata da poche forze, ora indaga le relazioni tra di loro e il mistero delle “onde di probabilità”. O come l’interazione tra i neuroni del nostro cervello che dà luogo alla cognizione e alla varietà dei comportamenti.
Un’onda leggera quella dell’immaginazione, un soft power che agisce in maniera persistente anche nell’apprendimento e nella riflessione, basti pensare come talvolta i dati della realtà possono essere controintuitivi e costringere perfino gli scienziati a fare i conti con eventualità improbabili. Perché l’immaginazione è presente in tutte le immagini della nostra mente, nelle relazioni con gli altri e in molte altre espressioni del pensiero, inclusi i ricordi, con le correzioni che apporta per rinnovare la nostra vita.
Se l’immaginazione è pienamente parte della realtà, ed è forte e vitale la contiguità che tra loro si stabilisce, allora il suo potere può cambiare il mondo, ampliando dovunque gli spazi di libertà e contrastando ingiustizie e disuguaglianze ancora oggi di stampo dickensiano. La forza dell’immaginazione, per dirla con le parole della più bella canzone di John Lennon, sta in tutti noi, nel potere che ogni nuova generazione invoca, a livello planetario, di un mondo più giusto e rispettoso dell’ambiente in cui viviamo.
Il mondo immaginato è spesso diviso dal mondo reale da una sottile membrana che di fatto non li separa ed è in questa linea di non confine che opera tutta la forza dell’immaginazione. Lo dimostrano anche le leggende e le tradizioni popolari che si nutrono spesso più di elementi immaginari che di elementi reali, anche se le stesse tradizioni e leggende vengono poi richiamate per irrobustire gli elementi identitari –che dovrebbero essere i più realistici – di una popolazione.
Fortis imaginatio generat casum dicevano gli antichi («una forte immaginazione genera l’evento») e Montaigne ne Il Libro dei Saggi, nel capitolo intitolato Della forza dell’immaginazione conclude: «Ci sono autori il cui scopo è di raccontare i fatti. Il mio, se potessi arrivarci sarebbe di parlare di ciò che può accadere».
E ciò che può accadere è che la nostra realtà, anche quella educativa, può migliorare soltanto con l’immaginazione e con tutto ciò che essa produce: dalla poesia alla musica, dalla letteratura al cinema e al teatro, dalla pittura alla scultura, dalle favole ai sogni. L’immaginazione vede oltre il quotidiano, amplia orizzonti ristretti, rappresenta le speranze, grazie a essa possiamo vivere più vite e avere più idee sulla vita.
Giuseppe Fiori