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Le prospettive per un impegno nuovo

Pubblicato il: 25/09/2019 18:19:32 -


Dire che la scuola è un impegno prioritario non basta, bisogna individuare obiettivi, definire percorsi e renderli praticabili a tutti i livelli
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Ben prima del fatidico suono della campanella, anche quest’anno assistiamo allo scatenamento di tutti gli strumenti di comunicazione sui problemi della scuola e sulla gravità della situazione in cui questa versa. Il nuovo governo afferma, e giustamente, che la scuola è la priorità per un impegno che voglia assumere prospettive di non breve periodo, mentre nuove e vecchie “expertise” si mobilitano, pronte a lanciare anatemi, a dare ricette, a rivolgere lo sguardo alla mitica scuola del passato, a cercare di alzare la quota di spesa che dovrà essere impegnata, a scovare sempre nuovi precari da assorbire ecc. ecc. In tutto questo proliferare di ipotesi, condanne, aspirazioni, urgenze e quant’altro appare difficile trovare risposta alla domanda “ ma come è fatta oggi davvero la scuola italiana?”, risposta che dovrebbe guidare qualsiasi ipotesi di intervento.

Volendo individuare qualche linea interpretativa dentro questo consueto polverone di inizio d’anno, si può tentare di strutturare un ragionamento in due direzioni :

  1. analizzare gli effetti di quanto è stato riversato nel corso degli anni sulla e nella scuola in termini di normative, di incombenze, di organizzazione, di personale ecc.

  2. analizzare la scuola italiana, entro il quadro comparativo di quanto accade nel resto del mondo

Primo punto di vista, partendo da una serie di domande retoriche.

Il Ministero ha mai fornito dati precisi, ragionamenti interpretabili sulle ricadute nel corpo vivo della scuola di quanto veniva deciso nel corso degli ultimi 25 anni a viale Trastevere? Sicuramente gli storici del futuro potranno scavare negli archivi del Palazzone di viale Trastevere, ma per fare solo qualche esempio su tutto quello che oggi, di fatto, ignoriamo, l’elenco può essere lungo:

  • cosa ha prodotto/ non ha prodotto il diritto / dovere all’istruzione e la formazione entro i 18 anni di età?

  • l’introduzione dei 10 anni di scolarità obbligatoria per tutti e tutte come ha trasformato/ non trasformato, in senso orientante, il biennio della secondaria superiore?

  • che effetto producono le continue immissioni in ruolo, decise sulla base di graduatorie alimentate da sentenze di improbabili Tar o addirittura della Cassazione o del Consiglio di Stato?

  • dove è finito il decreto che stabiliva di dedicare l’ultimo anno di scuola secondaria superiore alla storia del novecento?

  • e l’effetto dell’inserimento di un certo numero di docenti, aggiuntivo rispetto al conteggio rigidamente ragionieristico del numero dei corsi in organico?

  • e i progetti scuola- lavoro?

  • per non parlare del passaggio dalle Siss al Tfa?

Tante domande, che non trovano risposte in analisi responsabili (istituzionalmente responsabili), e che così alimentano prese di posizione rigidamente contrastanti, di cui si smarrisce il senso e si dà spazio a sterili contrapposizioni mentre gli abbandoni scolastici aumentano, le competenze della popolazione italiana si collocano sempre più in basso nelle comparazioni internazionali e la distanza tra la realtà dei ragazzi e l’offerta della scuola acquista dimensioni siderali.

Secondo punto di vista, quello comparativo

L’ultimo rapporto Ocse Education at a Glance 2019 assume come indicatori gli obiettivi Sustainable Development Goals on education – Agenda 2030, ( Assemblea generale delle Nazioni Unite, 25 settembre 2015) che, nel quarto dei 17 obiettivi Quality Education, recita: “Fornire un’educazione di qualità equa, e inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento per tutti e tutte e per tutta la vita.” Centrali nel rapporto sono i temi dell’educazione terziaria, l’inclusività dei sistemi scolastici, la trasformazione in senso “olistico” dei percorsi di studio e lo sviluppo del lifelong learning.

Scorrendo questo rapporto l’Italia può essere così sinteticamente raccontata :

  • la popolazione 25-64 anni ha solo il 19% di persone con titolo di istruzione terziaria, i giovani 25-34 anni sono il 28%, quindi in aumento, ma ancora lontani dalle medie OCSE e Eu23 che sono il 44% per l’insieme della popolazione e il 40-43 % dei giovani 25-34 anni. Il miglioramento c’è stato, soprattutto per merito delle giovani donne, ma non tale da colmare la distanza che ci separa dai paesi con i quali continuamente ci confrontiamo.

  • Anche nel nostro paese le migliori opportunità di occupazione riguardano coloro che dispongono di lauree nelle discipline cosiddette STEM, ma solo il 15% di laureati possiede questi titoli (17% dei più giovani). Le discipline più popolari tra i giovani italiani restano quelle artistico-umanistiche, scienze sociali e informazione, settori in cui i tassi di occupazione sono di 10 punti percentuali inferiori a quelli garantiti dalle discipline STEM.

  • In tutti i paesi la formazione post diploma, non accademica, garantisce titoli di formazione specialistica a quote di giovani superiori al 10%, rappresentando così uno strumento utile per l’ingresso nel mercato del lavoro, in Italia questa filiera è limitatissima (ITS), solo uno scarso 1,7% di diplomati sfrutta questa opportunità.

  • L’Italia è tra i paesi Ocse quella che ha la quota più elevata di docenti ultracinquantenni ( 59%) e la più bassa dei 25-34 anni (0,5% contro quasi il 4%).

  • I NEET in Italia sono il 26% dei giovani 18-24 anni, (media OCSE 14%.). I NEET 25-29 anni con un livello d’istruzione terziaria sono il 23%( un po’ meglio di Grecia e Turchia) mentre la media OCSE è 11%, quelli con un livello d’istruzione secondario superiore o post-secondario non terziario sono il 28%, il 51% non ha un diploma. Nel gruppo dei NEET sono calcolati sia gli inattivi (non cercano lavoro, sia i disoccupati. L’Italia e la Colombia sono gli unici due Paesi dell’OCSE con tassi superiori al 10% per le due categorie)

  • La partecipazione ad attività di istruzione / formazione formale e non formale è del 24% e riguarda soprattutto chi ha livelli di istruzione medio alta.

  • L’abbandono scolastico e la presenza di giovani che non completano il corso di studi fino a 18 anni è aumentata negli ultimi due anni fino al 14% .

  • Molto positiva è la scolarizzazione dei bambini in età compresa tra i 3 e i 5 anni, il 94%, quota superiore alla stessa media OCSE.

  • Persistono e, in alcuni casi si ampliano, le drammatiche differenze territoriali e la distanza tra Nord e Sud del paese.

La scuola da sola non ce la può fare, questo è sicuro, ma chi ha responsabilità politiche deve fornirsi di tutti gli strumenti di conoscenze attendibili sullo stato di quel groviglio, di quel pantano, si potrebbe dire, in cui la scuola rischia di affogare nel gioco perverso di riforme accantonate, proposte votate, attuate/ non attuate, spese non ben finalizzate, tagli dolorosissimi e risparmi “di maria calzetta”, come li potrebbe definire la saggezza popolare. Un primo passo necessario e urgentissimo è quindi operare monitoraggi e ricognizioni serie per individuare bene priorità di interventi e strategie di lungo periodo.

Vittoria Gallina

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