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La Notte Bianca del Liceo classico 2018 – di Claudio Salone

Pubblicato il: 21/02/2018 09:52:33 -


Una riflessione sintetica sulla “Notte bianca del liceo classico” e sulle prospettive che da essa potrebbero scaturire per un rilancio di questo indirizzo di studi.
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Alla prima edizione della “Notte bianca del Liceo Classico”, il 15 gennaio del 2015, presero parte poco più di cento i licei classici di tutta Italia”. Alla IV di quest’anno gli istituti scolastici aderenti sono stati circa il quadruplo, segno della indubbia vitalità dell’iniziativa, che ora ha anche un inno.

Come è noto, essa nacque per “contrastare il calo di iscrizioni e di interesse nei confronti di questa scuola e delle discipline che la caratterizzano” e la sua collocazione temporale (alla metà di gennaio) non è casuale, perché cade proprio nel torno di tempo in cui le famiglie e i ragazzi in uscita dalla scuola media scelgono l’indirizzo scolastico da frequentare alle superiori.

In questo ultimo decennio le richieste di iscrizione al liceo classico sono costantemente diminuite, fin quasi a dimezzarsi, passando da circa l’11% al picco negativo del 5,1%, per poi risalire leggermente negli ultimi anni, fino al 6,6% del totale attuale.

Il successo della manifestazione, stando ai report che si possono leggere on-line e sui giornali, è stato notevole e, se post hoc est propter hoc, efficace. Tutto ciò riflette sicuramente l’autentica vitalità delle nostre scuole classiche, in tutte le loro componenti, docenti, studenti, famiglie, personale ATA; il che peraltro corrisponde al dato di sostanziale soddisfazione generalmente espresso da chi già frequenta il liceo classico.

Resta tuttavia il sensibile calo di popolarità del più antico indirizzo di studi superiori d’Italia e, per certi versi, d’Europa, cui, paradossalmente, corrisponde la crescente e massiccia licealizzazione degli studenti italiani delle superiori (siamo arrivati al 54,7% nel 2017). Un dato questo che ha pochi confronti nell’ambito del Vecchio Continente.

Tanto per stare al suo significato simbolico, questa “Notte”, come altre analoghe manifestazioni organizzate per favorire la conoscenza di musei, gallerie e siti archeologici, avrebbe dovuto, antifrasticamente, accendere i riflettori su una situazione di crisi che non è risolvibile solo all’interno dell’istituzione scolastica, ma che, investendo la stessa identità culturale del nostro Paese, ha necessità di una discussione e di un’analisi la più ampia possibile.

Personalmente non ho molta fiducia in questo tipo di eventi, che corrono il serio pericolo di risolversi in operazioni di mero marketing (ne scrissi nel 2014, a proposito dei musei, intitolando un mio articolo “La Notte dei Musei: è la notte dei musei?”). È pur vero però che non si possono neppure rifiutare sdegnosamente le strade della comunicazione così come oggi si configura. La sfida resta semmai quella di ancorare gli spot, anche di qualità, a una visione continua, permanente, sistemica, riferibile, mi si passino i termini, alla “normalità diurna” piuttosto che alla “eccezionalità notturna”.

Il rischio maggiore che colgo è quello da un lato dell’autocelebrazione, della laudatio temporis acti, dell’orgoglioso rimpianto del “come eravamo” opposto al destino cinico e baro riservatoci da una modernità superficiale e incolta; dall’altro di un “aggiornamento” irriflesso, per cui basta introdurre le ICT nel curricolo per essere all’altezza dei tempi.

È necessario innanzi tutto uscire dal luogo comune ancor oggi molto diffuso, secondo il quale il classico è “la scuola più bella di tutte”, quella che ha i contenuti formativi più efficaci, la scuola, insomma, che forma l’eccellenza della nostra classe dirigente. Come è noto, il dato incontrovertibile è che dal classico escono studenti mediamente migliori degli altri e con un tasso di successo universitario più elevato. Tuttavia non bisogna fermarsi alle cifre nude e crude, ma calarle nella realtà socio-territoriale: è pur altrettanto necessario dire che la presenza di così numerosi ottimi studenti poggia ancora robustamente sugli ambienti di provenienza degli studenti stessi, solitamente urbani e di medio-alto livello culturale ed economico e, soprattutto, sul fatto che già in ingresso un sistema di orientamento tutto da ripensare indirizza verso il classico gli elementi migliori in uscita dalla scuola media.

Dunque, bando a ogni albagia corporativa e riflettiamo lucidamente sulla sostanza del problema.

Essa mi pare assuma oggi tre aspetti fondamentali: quello legato alla struttura curricolare, quello legato alla didattica e ai contenuti dei programmi (perché di questo si tratta, bona pace delle linee-guida) e quello della formazione degli insegnanti.

Sono certo che, tra le numerose e variopinte manifestazioni che sono state esperite nella “Notte dei Licei classici” (basta dare un’occhiata solo cursoria alle diverse locandine per rendersi conto di cosa e di quanto è stato messo in campo dalle scuole) sono emersi spunti, riflessioni, idee di grande interesse su tutti e tre gli ambiti di cui sopra si diceva e su altro ancora, capaci di riaprire il dialogo oggi periclitante tra società italiana e liceo classico.

Purché, come prima accennavo, passata ‘a nuttata, non ci si crogioli nel successo “di pubblico e di critica” dell’evento e si cerchi invece di trasferire quegli spunti, quelle riflessioni, quelle idee in una più generale, ampia proposta di sistema.

Non sarebbe male, ad esempio, se il MIUR traesse le fila di tutte le “Notti”, mettendo a disposizione di chi è interessato un quadro complessivo e sintetico delle tante iniziative intraprese.

Claudio Salone

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