Rapporto Censis 2014: la lente sulla formazione
Società italiana e processi formativi nel rapporto Censis 2014, una lettura attenta e di sintesi.
Molto pessimista, ma convincente l’analisi sulla situazione del Paese che il Censis ha presentato, come ogni anno; suggestiva la metafora delle sette giare, che danno il senso di un inquietante e quasi ineluttabile destino di una società, in cui i diversi soggetti riescono a riconoscersi solo entro i confini di un egoismo, che porta ciascuno a bollire nel proprio brodo.
È un modo diverso di svelare l’ambiguo significato del pronome “noi”, che diviene pericoloso quando non rappresenta più il senso di una comunità capace di condividere credenze e valori in pratiche concrete del quotidiano (Rousseau aveva colto il senso del ruolo della politica in questi processi); nel mondo globale proprio questo “noi” diviene strumento di desiderio di auto protezione, utile per tutelarsi e ripararsi da confusioni e disorientamenti, ma chiuso e aggressivo verso gli altri (R. Sennet, L’uomo flessible, Feltrinelli, 2001).
In questo quadro è proprio la politica il soggetto mancante, perché non riesce a divenire “arte e guida”, capace di sconvolgere questo immobile ordine orizzontale in cui le sette giare trattengono pezzi di una in-comunicante società, ripiegata al proprio interno.
L’Italia non è più una società mobile, “liquida”, era stata la formula usata in varie declinazioni negli anni, ma una società “liquefatta”, che si muove tra “un fatalismo cinico e un secessionismo sommerso”.
Le sette giare della metafora sono identificate nei poteri sovranazionali, nella politica nazionale, nelle sedi istituzionali, nelle minoranze vitali, nella gente del quotidiano, nel sommerso e nel mondo della comunicazione.
Il necessario rilancio della politica appare lontano perché anche questa parla e comunica all’interno del proprio confine, senza riuscire ad aprirsi e ad aprire spazi ad una collettività stanca e impaurita.
Questo il tema centrale di un’analisi che, anche laddove scopre capitali, non solo in senso economico, e successi di coloro che, cittadini, famiglie, imprese “ce l’hanno fatta”, coglie il senso di un’attesa, in cui tutti trattengono il fiato con un atteggiamento che spegne entusiasmi e aspettative, mentre si allargano le ineguaglianze e si accrescono povertà ed ingiustizie.
Il 29% della popolazione si sente abbandonata, priva di protezione, inquieta e incerta, perché incerta le appare la realtà che la circonda; i giovani (18-34anni), proprio perché sentono di essere sempre meno garantiti, sono il pezzo di popolazione che soffre di più di questa insicurezza e di questa sfiducia. Lo scoraggiamento è reso evidente dai numeri, che impietosamente presentano un capitale umano sprecato, perché non diviene lavoro: oltre 3 milioni i disoccupati, cui si aggiunge il milione e ottocentomila di inattivi perché scoraggiati. I 15-34enni sono il 50,9% dei disoccupati e i Neet, (cioè i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi d’istruzione o di formazione, non hanno un impiego, né lo cercano) passano dal 2007 nel 2013 da 1.832.000 a 2.435.000.
A questo si aggiunge il lavoro poco e sotto utilizzato e il fenomeno del sottoinquadramento; il mis-match tra titolo di studio e di posizione nell’occupazione riguarda 4 milioni di lavoratori (19,5%) che ricoprono posizioni lavorative per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto (l’over-education colpisce anche laureati molto qualificati, economisti, statistici e ingegneri)
Come si collocano le istituzioni formative in questo quadro?
Europa 2020 ci chiede di arrivare a garantire servizi per l’infanzia per il 33% dei potenziali utenti (l’Italia si ferma al 13,5%, e le liste di attesa si allungano).
Le esperienze di alternanza scuola-lavoro si stanno diffondendo, sono interessanti e stimolanti, coinvolgono imprese, professionisti, strutture pubbliche ecc., ma riguarda solo il 9% degli studenti delle scuole secondarie superiori.
Gli Its (Istruzione tecnica superiore), percorsi d’istruzione post secondaria non accademica, hanno superato la fase di sperimentazione e registrano un esito occupazionale positivo, ma si tratta di esperienze ancora molto limitate.
Il percorso verso l’uso del digitale nella scuola segna ancora la distanza dalle scuole europee e la frequenza di scuole dotate di ambienti di apprendimento virtuale è un’esperienza che coinvolge quote di studenti sensibilmente inferiori alle medie europee. Per accelerare il processo di digitalizzazione i dirigenti scolastici, intervistati dal Censis, ritengono che sarebbe utile, piuttosto che una dotazione proprietaria di strumenti alle singole scuole, la creazione di piattaforme per il reperimento e la fruizione di materiale e di servizi didattici (sembra una buona idea).
La penuria di strutture scolastiche adeguate riguarda soprattutto le strutture sportive ed evidenzia le differenze tra Nord, Sud e indirizzi di scuola.
Nell’ultimo quinquennio gli iscritti alle università statali sono calati del 7,2% e gli immatricolati del 13,6%. Il fenomeno riguarda tutti gli atenei, soprattutto al Sud, ma anche al centro, si salvano solo le università del Nord-Ovest (+ 4,1% degli iscritti e +1,3% degli immatricolati).
Infine, l’aumento delle tasse e la carenza di strutture adeguate si aggiungono alla disaffezione della utenza potenziale.
Correlati:
Situazione sociale del Paese: il rapporto Censis 2013, di Vittoria Gallina
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Immagine in testata del Censis
Vittoria Gallina