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“La conoscenza come bene comune”

Pubblicato il: 26/01/2010 16:35:28 -


Graziella Falconi ha letto “La conoscenza come bene comune” a cura di Charlotte Hess ed Elinor Ostrom (Paolo Ferri è curatore dell’edizione italiana), Bruno Mondadori 2009, pp. 410. Ecco la recensione per Education 2.0.
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Segnalato anche da Stefano Rodotà, questo lavoro di Charlotte Hess ed Elinor Ostrom, rispettivamente l’una direttrice della Biblioteca digitale dei Commons, e l’altra professore di scienze politiche alla Indiana University, mette insieme importanti contributi volti ad analizzare i beni comuni della conoscenza nel nostro tempo, che da homo sapiens sapiens ci sta trasformando in homo digitalis, mutando, come muta, sempre più la natura del lavoro, il suo processo e il suo prodotto grazie a un’innovazione tecnologica pervasiva.

Che cos’è la conoscenza? Per Ostrom ed Hess essa è riferibile a tutte le forme di sapere conseguite attraverso l’esperienza oppure lo studio, sia esso espresso in forma di cultura locale, scientifica, erudita o in qualsiasi altra forma. Il concetto include, naturalmente, anche le opere creative come la musica, le arti visive e il teatro. I beni comuni, commons, sono “quei beni che sono di una comunità e dei quali la comunità può disporre liberamente”, beni, quindi, materiali e immateriali, patrimonio collettivo di una comunità. Il bene comune non viene valutato solo sul prodotto interno lordo o sul fatturato di un’azienda; per valutarlo occorrono un insieme di criteri più ricchi, più qualitativi e umanistici, come le legittimità morale, il consenso e l’equità sociale, la trasparenza nei processi decisionali, la sostenibilità ecologica. Essi possono essere considerati una terza forza nella vita politica, sempre in lotta per esprimere i propri interessi al di sopra e contro quelli del mercato e dello Stato. Vi sono importanti differenze tra i beni comuni legati alle risorse naturali, come la terra, soggetti a esaurimento – e pertanto rivali – e beni comuni che gestiscono risorse non esauribili – e non rivali – come l’informazione e le opere creative. Soprattutto, come indicano quasi tutte le Costituzioni, compresa la nostra (art. 21, 33, 34), lo sfruttamento del bene comune deve essere regolato, per impedirne il depauperamento indiscriminato o addirittura l’esaurimento a opera di questo o quel soggetto. Hess e Ostrom mettono in evidenza come tutta la conoscenza sociale accumulatasi nel corso dei millenni della storia umana, essendo il frutto di una competizione di interessi e di una cooperazione, costituisce un bene comune. Come s’è visto del libro di Burke (Storia sociale della conoscenza, Il Mulino), il centro della catena del valore della conoscenza, da Gutenberg in su, è stata la carta – il libro –, vettore della trasmissione del sapere, intorno ad essa giravano tutti i processi di archiviazione, conservazione e diffusione, a carattere per lo più pubblico.

Oggi sono cambiati i supporti della trasmissione e dell’archiviazione dei beni comuni della conoscenza. La digitalizzazione ha cambiato “la catena del valore correlata alla conoscenza e al sapere”. Gli autori non mancano di sottolineare come le stesse tecnologie che consentono un accesso illimitato a queste risorse condivise, al contempo le recintano (là dove il recinto era una biblioteca, ora è una password a pagamento o user id) e dunque limitano le opzioni informative e il libero flusso delle idee. Chi sono gli utilizzatori? Soprattutto le imprese entrate in competizione fra loro per il predominio nel fiorente mercato dell’innovazione, della creatività, ossia i grandi centri di ricerca internazionale, le imprese del settore biotecnologico e farmaceutico, i grandi studi di architettura, design e progettazione urbanistica, le imprese di telecomunicazioni globalizzate, i produttori di hardware e software ecc. È questo il tempo di grandi possibilità di democratizzazione del sapere in un proficuo rapporto fra istruzione, conoscenza e cittadinanza, ma anche di una ulteriore segmentazione della società, dal momento che solo due miliardi di persone su sei hanno accesso a Internet, e che oltre a connessi e non connessi, vi è una differenza tra gli stessi connessi alla Rete. Nella galassia dei siti, inoltre, si è superata da tempo la trasmissione da uno a molti che ha riguardato il mondo da quando sul monte Sinai Dio dettò i comandamenti a Mosè. Ora, individui in forme plurime generano conoscenza (gli utenti di Internet non sono solo consumatori, ma coproduttori) e sapere sociale, al di fuori dei circuiti tradizionali. Qui si crea tanta più ricchezza quante più sono le persone che usano la risorsa della conoscenza e si uniscono alla comunità sociale. Più si è meglio è: discenti e docenti. Nel volume ci si preoccupa di costruire forme efficaci di azione collettiva e iniziative di autorganizzazione e autogoverno, soprattutto rivolte ai giovani, bisognosi di un nuovo linguaggio (viene indicata l’operazione fatta dall’ambientalismo) e di sentirsi una risorsa. Una bella sfida anche per la scuola italiana.

Per approfondire:
• Charlotte Hess, Elinor Ostrom (a cura di), Storia sociale della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano 2009, pp. 410.

Graziella Falconi

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