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Strategie “non verbali” per la scuola multiculturale

Pubblicato il: 08/03/2012 17:08:00 -


Come offrire il miglior ambiente di apprendimento in una realtà scolastica fortemente multiculturale? Sviluppando progetti centrati sul linguaggio corporeo, non verbale: teatro, danza, musica. L’esempio di una scuola romana, con il 45% di alunni figli di migranti.
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La scuola primaria Di Donato fa parte dell’Istituto Comprensivo Manin di Roma, dove nell’anno scolastico 2010-2011 erano iscritti 765 alunni, tra plessi di scuola primaria e di secondaria di primo grado, con una percentuale del 45% di figli di migranti, provenienti da 50 differenti Paesi del mondo, percentuale unica in tutto il territorio del Primo Municipio di Roma. Altro dato importante da rilevare per dare un’immagine della realtà scolastica in cui lavoriamo, è che tra i bambini migranti presenti nella nostra scuola solo il 19.23% è nato all’estero. Si tratta quindi, per la metà, di bambini in attesa di cittadinanza italiana che sono nati e scolarizzati in Italia e che parlano due o più lingue.

L’analisi di una situazione così complessa, ma ormai sempre più comune nelle scuole italiane, va affrontata, secondo me, da vari punti di vista e valutata in riferimento a orizzonti scientifici diversi.

Il dibattito interno al corpo docente, che da molti anni si interroga su come offrire il miglior ambiente di apprendimento a una simile utenza, ci ha portati a sviluppare con particolare passione quei progetti che si basano sui linguaggi del corpo: teatro, danza e musica.

Nell’analisi dell’utenza multietnica lo sguardo del sociologo si è spesso avvicendato a quello dell’antropologo, del pedagogista, dello psicologo, dello statistico, dell’economista. Tutti insieme possono render conto delle novità e dei vantaggi che simili ambienti di apprendimento possono apportare al lavoro dell’insegnante, permettendoci di mettere a fuoco il valore universale dei linguaggi non verbali come veicoli di apprendimento interculturale.

Siamo, infatti, persuasi – e gli studi settoriali lo confermano – che per realizzare al meglio l’interazione all’interno degli ambienti multietnici sia necessario incrementare fortemente le competenze relazionali e comunicative degli alunni. E ci si riferisce a quell’insieme di competenze cognitive, emotive ed empatiche che, sollecitate laddove la diversità si costituisce come elemento caratterizzante l’ambiente di apprendimento, condizionano lo sviluppo di abilità specifiche, come la maggiore capacità di saper interagire con le persone in tutta la loro diversità e complessità.

Durante l’anno scolastico 2010-2011, per esempio, attraverso “Sui banchi dell’intercultura”, progetto pilota finanziato dal Ministero dell’Interno, dell’Istruzione e dalla Commissione europea, fondi FEI, abbiamo sperimentato con successo l’uso dei linguaggi corporei per sviluppare “Buone Pratiche” in campo interculturale. Quest’anno, come in passato, le classi aderiranno ai progetti presentati dal Teatro dell’Opera di Roma, dal CEMEA Lazio e da tutte quelle associazioni che propongono di sperimentare percorsi di movimento creativo o la creazione di spettacoli teatrali nelle scuole.

Tutto questo, non per una generica esigenza di preservare la salute fisica dei nostri alunni, ma proprio perché convinti che, attraverso l’espressione corporea, sia possibile praticare quel terreno pre-espressivo, che tutti condividiamo in quanto esseri umani dotati di un corpo sensorialmente attivo. Stefania Guerra Lisi, con il suo metodo della Globalità dei Linguaggi, creato inizialmente per l’inserimento delle persone con handicap, ci ha dimostrato quali siano le esperienze preverbali sulle quali è necessario lavorare quando esistono gap comunicativi come negli ambienti multiculturali. La danza, la musica, la mimica, non sono solo tecniche artistiche rigorose ma anche e soprattutto strumenti per riconoscersi in quanto esseri umani, e dichiarare la nostra appartenenza a una comunità, la comunità scolastica, che necessita, per essere dinamica e vitale, di momenti frequenti di condivisione gioiosa.

In conclusione se è vero che sono fattori determinanti per il successo scolastico le condizioni individuali di partenza dei bambini – migranti e non solo migranti – (percorso familiare, motivazione, soddisfazione nello studio, approccio alla scuola, relazioni sociali rispetto al gruppo d’appartenenza e al gruppo ospitante, aspettative per il futuro) e se è altrettanto vero che non è più conveniente né possibile procedere per analisi che non tengano conto di percorsi di partenza fortemente individualizzati, bisogna tuttavia tener conto che senza la sperimentazione e l’uso di contesti di condivisione che permettano ad ognuno di esprimere la propria personalità aldilà delle differenze, non è possibile valorizzare i singoli individui. Sappiamo che ogni bambino che entra a scuola è diverso e unico e si porta dietro un bagaglio dovuto alla sua particolare famiglia e alle sue particolari esigenze.

Partendo dalla consapevolezza che il contesto non è solo la cornice all’intero della quale si impara, ma anche il luogo d’azione in cui si generano e si elaborano le conoscenze, l’uso dei linguaggi non verbali attraverso la realizzazione di progetti legati a danza, musica e teatro, è una via praticabile per la presa in carico, da parte della scuola, dei singoli percorsi dei suoi alunni, perché si realizzino al meglio le singole abilità, qualunque sia la provenienza geografica e familiare di partenza.

Maia Giacobbe Borelli

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