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Cronaca di un giorno di ordinaria follia, il test d’accesso al TFA a Milano

Pubblicato il: 04/09/2012 16:02:29 -


Mercoledì 25 luglio 2012 si è tenuta la prova preselettiva per l’accesso al TFA (classe di concorso A043, accorpata alla A050) presso l’Università degli Studi di Milano. Cronaca di una sventura.
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Alle otto del mattino, come da bando, tutti i candidati, circa un migliaio, erano già presenti davanti alle rispettive aule. La prova è iniziata lievemente in ritardo e si è svolta in silenzio solo nella prima ora; già a partire dalla seconda ora sono iniziati i “test di gruppo”: chi ha avuto la fortuna (o la faccia tosta) di sedersi vicino a un compagno di università, a un amico o semplicemente a un candidato compiacente ha potuto affrontare un “esame di coppia”, il tutto senza il minimo intervento di chi era preposto alla vigilanza. Ciò ovviamente a detrimento dei tantissimi che invece hanno scelto di lavorare per conto proprio, affrontando con serietà un concorso che a tratti poteva essere scambiato per un quiz televisivo.

In effetti, il vero problema era proprio costituito dal contenuto della prova.

Per mesi il MIUR ha lasciato migliaia di docenti (e aspiranti tali) nell’attesa ma anche nel buio più completo circa il test preselettivo: nel D.M. 249/2010 si era semplicemente parlato di sessanta quesiti a scelta multipla con quattro opzioni di risposta, di cui una decina volti a verificare le competenze del candidato relativamente alla lingua italiana, anche in riferimento all’analisi di uno o più testi.

Il Decreto faceva poi riferimento, per la preparazione, alla normativa del 1998 relativa ai programmi e alle discipline da preparare quando ancora erano in vigore i concorsi, peraltro citando anche le più recenti Indicazioni per il curricolo, le Indicazioni per i Licei e le Linee Guida per i Tecnici.

Migliaia di candidati si sono quindi dedicati, nei mesi, al ripasso completo, pur sapendo che per alcune classi di concorso – come la famigerata A043 – il lavoro sarebbe stato più complesso, trattandosi di un insegnamento estremamente composito e variegato (da grammatica a fonologia, a critica letteraria, a storia, geografia, letteratura, cittadinanza e costituzione…).

Nessuna indicazione è pervenuta nei mesi dal Ministero, eccetto un lapidario “I test sono troppo facili: vanno riscritti”, con cui a marzo Profumo ha voluto mettere in chiaro che la prova sarebbe stata complessa, forse ben più di quanto tutti si sarebbero aspettati.

Non solo non sono stati forniti indicazioni e suggerimenti di alcun tipo sugli argomenti oggetto della prova, ma non è nemmeno mai arrivato un chiarimento circa la suddivisione dei quesiti nelle singole discipline che compongono le classi di concorso più variegate.

Nessuno si sarebbe aspettato una batteria di test come è stato concesso ai Dirigenti (peraltro piena di errori e quindi probabilmente foriera di altri problemi e contenziosi), ma perlomeno una linea di indirizzo, qualche riferimento in più avrebbero potuto concederlo.

La prova per la classe A043 (non si capisce per quale motivo accorpata ingiustamente alla A050, dato che la seconda prevede un esame diverso nel piano di studi rispetto alla prima) è stata improntata al puro nozionismo: non una domanda di ragionamento, non la possibilità di una riflessione di ampio respiro (è possibile anche con dei test a risposta chiusa, se sono costruiti in maniera intelligente), solo pure nozioni, nomi, date e opere, peraltro anche piuttosto sconosciute e spesso al di fuori dei programmi cui faceva riferimento lo stesso D.M. 249/2010.

Perché un insegnante dovrebbe riconoscere una poesia di Cardarelli da un suo verso? Perché dovrebbe sapere tutti i titoli delle raccolte poetiche di Luzi, destreggiarsi tra Sbarbaro, Rebora e altri poeti di tardo Novecento, quando tali autori non erano nemmeno previsti nei programmi e certo non vengono mai affrontati alle scuole medie?

Il test non conteneva nemmeno una domanda di grammatica, di fonologia o di linguistica: tali discipline invece rientrano a pieno titolo negli insegnamenti della A043, costituendo anzi la quota maggioritaria nel curricolo di lettere. La prova era invece completamente sbilanciata a favore della letteratura di tardo Novecento e di geografia, una disciplina – quest’ultima – che nella scuola secondaria di secondo grado viene trattata al massimo due ore a settimana, contro le nove di italiano.

Ciò che scoraggia di questa prova, al di là del fatto che probabilmente chi ha costruito questi test non conosce esattamente i programmi svolti a scuola, né tantomeno i riferimenti alla normativa che lo stesso D.M. menzionava, è il contenuto delle domande, visibilmente mirato a “far fuori” quanti più candidati possibili. Era già accaduto con Filosofia e Pedagogia (classe A036): in ben otto università neanche un candidato è stato ammesso alla seconda prova. È accaduto anche a Lettere, dove tra Batrocomiomachia di Leopardi, enciclica di Pio IX, morte di Caio Gracco, Charte Octroyée e altre simili nozioni slegate da ogni contesto e da ogni ragionamento, gli autori del test hanno pensato di chiedere gli autori di Oceano mare e del Cardillo addolorato, facendo quasi sentire molti candidati come adagiati sulla battigia alle prese con le parole crociate.

Per non parlare dei quesiti erronei o ambigui (esiste un lago Eyre sia in Australia che in Canada: quale risposta avrebbe dovuto scegliere un candidato?), l’uso improprio di versi italiani (un passo dei Sepolcri e una terzina, peraltro incompleta, del Paradiso di Dante, senza alcuna contestualizzazione, come se l’opera omnia di tutti gli autori della letteratura italiana fosse talmente ovvia da non richiedere quantomeno una decina di versi, o un paio di terzine per agevolare l’identificazione del passo).

Questa prova ha dimostrato sicuramente una cosa: la volontà di selezionare in modo accurato e serio la nuova classe docente non esiste. Lo dimostra la scarsa attenzione rivolta in questi mesi a chi chiedeva indicazioni sui contenuti della prova; lo dimostra un nozionismo fine a se stesso che nell’era di internet non ha più senso né sui banchi, né tantomeno dietro la cattedra; ma soprattutto lo dimostra il fatto che a migliaia di giovani, dopo anni senza concorsi e senza SISS, è stata proposta una selezione farsa, umiliante nei contenuti e approssimativa nel metodo.

I giovani laureati italiani, a mio avviso, si meritano di più.

Elisa Bonadimani

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