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La scuola che non cambia. Eppure nulla osta…

Pubblicato il: 27/03/2013 11:33:33 -


Le esperienze in essere ci parlano di una scuola che oggi vuole e sa cambiare. Chi o cosa, allora, ostacola il cambiamento? Alcune questioni cruciali interrogano soprattutto le istituzioni, quando non riescono a trovare le forme necessarie a dare sostanza a scelte, sicuramente giuste, ma ancora mai operate.
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Il 15 marzo è scaduto il termine per la richiesta del nulla osta.

Strano “oggetto” per i non addetti ai lavori: si tratta di un documento che può essere richiesto alla scuola in cui lo studente è/è stato iscritto nell’anno scolastico in corso al fine di trasferirsi ad altra scuola ovvero a sostenere esami da privatista.

Il tutto è regolato dall’art. 4 del R.D. n. 653 del 1925 e successive modificazioni, che così appare nel sito della Ministero della Pubblica Istruzione:
“Nulla osta di passaggio tra scuole – Se nel corso dell’anno scolastico, un alunno deve trasferirsi da una scuola all’altra, occorrerà presentare una domanda al dirigente scolastico della scuola in cui intende trasferirsi, spiegando i motivi della richiesta. Al Dirigente scolastico della scuola frequentata va invece presentata una domanda documentata perché rilasci il nulla osta, che è il documento da presentare alla nuova scuola per l’effettiva iscrizione. Successivamente la vecchia scuola invierà tutti i documenti dell’alunno a quella nuova. Il nulla osta, se debitamente motivato, non può essere negato“.

La data del 15 marzo risulta importante per evitare che uno studente venga bocciato alla fine dell’anno scolastico.
Prassi burocratica che interviene per risolvere problemi legati a cambi di residenza, difficoltà di organizzazione familiare ovvero altre contingenze personali.

Allora perché parlarne?

I quotidiani, non solo nelle cronache locali, ma anche in articoli nelle pagine nazionali, hanno cominciato a segnalare, a partire dallo scorso anno, il fenomeno delle fughe dai licei classici, in genere da licei cosiddetti prestigiosi, ben frequentati, verso licei meno rinomati, meno centrali, meno esigenti (?), ovvero verso accoglienti scuole paritarie o private.

Il copione rimane sempre uguale, i/le dirigenti scolastici/che difendono il buon nome della scuola e testimoniano della qualità del corpo insegnante, sottolineando come questa emorragia avvenga nel primo anno della secondaria superiore e poi ancora nel primo anno successivo al biennio.

I genitori dichiarano di essere stati costretti a questo passo perché i docenti non tengono nel dovuto conto le caratteristiche psicologiche ed emotive degli studenti, che rischiano di riportare danni gravi per un equilibrato sviluppo di maturazione, anche culturale.

Qualche dirigente azzarda un’ipotesi: forse, nel caso della prima classe del biennio, è stato operato un errore nella scelta; nel dialogo tra sordi, che si è evidentemente determinato, non appare traccia di tentativi di orientare, instradare, aiutare a operare scelte più adeguate.

E allora sorge una domanda: nella prima classe successiva al biennio, che evidentemente è stato superato, cosa è successo, perché si registrano ancora queste fughe?

Ciò che tuttavia stupisce, ed è questo il punto più interessante, è un altro aspetto: nessuno registra le fughe da tecnici e professionali verso i licei.

È possibile che nel sistema italiano sbagli solo chi ha scelto il liceo classico (e poi insiste per proseguire in quel percorso) e nessuno scopre, durante la frequenza del biennio delle superiore nel tecnico o nel professionale, di amare la letteratura greca o la storia romana o la storia dell’arte o la lingua italiana come oggetto di studio specialistico, ovvero l’approfondimento di procedure scientifiche anche nelle loro applicazioni tecniche?

Già, ma come avrebbe potuto uno studente scoprire queste sue vocazioni se dal primo giorno di frequenza del biennio è stato messo di fronte alla sola alternativa “o mangi questa minestra o salti questa finestra”?

Allineare la durata dell’obbligo di istruzione a quanto accade in moltissimi altri paesi doveva servire proprio a evitare che la scelta dopo la terza media fosse decisiva del destino culturale dei giovani e aiutare a maturare vocazioni, rafforzando abilità e competenze.

Invece, purtroppo, constatiamo che le famose passerelle tra un percorso e l’altro di scuola sono degli scivoli verso “piani” b, dove b sta per seconda scelta, mentre mancano scale/sgabelli che aiutino a spostare alcuni studenti verso scelte che la immobile società italiana continua a presentare come prime scelte.

Se poi si osservano i dati sulla dispersione scolastica e il preoccupante aumento dei quindici/sedicenni che si rivolgono ai percorsi di istruzione degli adulti (si tratta di persone talora prive della licenza media e non solo della certificazione di superamento del biennio), appare evidente che il sistema italiano deva ancora lavorare molto per garantire una prospettiva di equità a giovani che ancora oggi sono obbligati, di fatto, a fare scelte precoci che non permettono di coltivare aspirazioni e vocazioni.

Education 2.0 documenta le importanti esperienze di una scuola che sa cambiare, ma ci sono alcuni nodi che interrogano soprattutto le istituzioni, quando non riescono a trovare le forme necessarie a dare sostanza a scelte, sicuramente giuste, ma ancora mai operate.

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Immagine in testata di MyTudut / Flickr (licenza free to share)

Vittoria Gallina

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