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Per uscire dalla crisi serve più formazione per i lavoratori

Pubblicato il: 26/03/2009 11:49:38 -


L’accordo Governo-Regioni del 12 febbraio 2009 su formazione e ammortizzatori sociali richiede l’impegno delle istituzioni regionali e delle forze sociali nelle aziende e nei territori per elaborare e attuare piani formativi innovativi ed efficaci e un rafforzamento dei servizi per l’impiego.
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A fronte della gravissima crisi che attraversa il paese e costringe migliaia di aziende ad attivare procedure di sospensione dei lavoratori, tutti hanno chiesto al Governo di investire più risorse sulla cassa integrazione, estendendola a coloro che ne sono sprovvisti (artigiani, commercio, precari, apprendisti ecc.).

Purtroppo sono state ridotte le risorse ad altre tipologie di investimenti, come il Fondo Aree Sottosviluppate, che il Governo Prodi aveva inserito strettamente tra le risorse di cofinanziamento dei fondi strutturali europei, per rafforzare l’impegno del paese nelle infrastrutture e nello sviluppo. Si è prospettato di utilizzare risorse del Fondo Sociale europeo del periodo 2007-2013, investite finora per misure di politiche attive del lavoro (servizi per l’impiego, formazione, orientamento, accompagnamento al lavoro) per integrare le risorse nazionali sulla cassa integrazione. La stessa cosa è stata richiesta ai fondi interprofessionali per la formazione continua, gestiti dalle parti sociali, nati, a partire da un accordo tra parti sociali e Governo Ciampi (1993) per realizzare azioni di formazione continua per i lavoratori.

Dopo un lungo confronto fra Regioni e Governo è scaturito l’impegno che una parte del Fondo Aree sottoutilizzate andasse a interventi Regionali, soprattutto per il Sud, e che 2650 miliardi del Fondo Sociale, sui 14 miliardi circa utilizzabili per tutto il periodo 2007-2013, sia utilizzato per la cassa integrazione dei settori non coperti, a condizione di legare queste risorse a progetti di politiche attive.

È evidente che questo accordo, probabilmente inevitabile per i rapporti di forza in atto, riduce risorse per la formazione dei lavoratori, di un paese che ancora oggi conta il 32,6% di forza lavoro con il solo titolo dell’obbligo e il 7,2% con la licenza elementare o senza alcun titolo di studio. Mentre, come fanno tutti i principali paesi europei, con governi di destra o di sinistra, andrebbe utilizzata la crisi per un grande Piano di formazione che innalzasse le competenze di base della massa dei lavoratori, e rilanciasse alla grande istruzione e ricerca, per trovarci più attrezzati per il dopo crisi.

Naturalmente sta ora all’impegno di ciascuna Regione e delle parti sociali a livello aziendale e territoriale concordare piani formativi innovativi ed efficaci e ruolo adeguato dei servizi per l’impiego, coinvolgendo tutte le agenzie formative pubbliche e private (scuole, università, centri di formazione professionale, terzo settore ecc.) per realizzare dal basso quello che il Governo non ha voluto fare.

Roberto Pettenello

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