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La scuola tra federalismo e autonomia

Pubblicato il: 05/04/2011 11:23:16 -


Nel libretto curato dal Centro Iniziativa Democratica Insegnanti (CIDI), critiche e riflessioni sul cammino del federalismo scolastico e sulle sue possibilità di incidere sull’efficacia e sull’equità dell’azione formativa.
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Che ne sarà, con il federalismo, della scuola dell’articolo 3 della Costituzione? L’interrogativo, posto da Sofia Toselli nella Prefazione al libretto del CIDI “Salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Federalismo e scuola”, attraversa tutta la pubblicazione. Come potrà, dunque, il federalismo assicurare quei livelli di prestazione che permettano a tutti di raggiungere la migliore formazione possibile, in un sistema già di suo caratterizzato da una forte eterogeneità nella distribuzione delle risorse e dei risultati? L’interrogativo della Toselli costringe gli autori a soffermarsi nei loro interventi su due questioni fondamentali e tra loro interconnesse: l’una relativa alle criticità della normativa (in particolare alle incertezze riguardanti la definizione del quantum necessario ad assicurare le prestazioni essenziali), l’altra allo stato di salute dell’autonomia scolastica (elemento imprescindibile per la realizzazione di un federalismo compiutamente democratico).

Ermanno Testa rilegge in controluce proprio il cammino dell’autonomia evidenziando come, pur nel complesso di una difficile e assai contrastata realizzazione (all’iniziale fervore realizzativo, rivelatosi scarsamente incidente, è subentrata la progressiva affermazione di politiche di contenimento della spesa e di rinnovato centralismo), in molte occasioni l’autonomia abbia sostenuto proprio quelle esperienze positive (percorsi educativi innovativi contro la dispersione, didattiche laboratoriali, progetti sull’inclusione, lavoro in team) che la rendono uno strumento fondamentale per una scuola incentrata su una cultura della responsabilità, della partecipazione e attenta alla diversità dei contesti in cui si inserisce. Da questo punto di vista il ruolo degli enti locali è stato e sarà vitale e Testa sottolinea come il federalismo possa aprire spazi di partecipazione e sostegno all’attività scolastica o risolversi, grazie a forme di controllo autoritarie, in un rinnovato centralismo (a dispetto di quel “fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” del nuovo articolo 117 della Costituzione).

Con un interrogativo sul possibile apporto del federalismo rispetto all’efficacia e all’equità della scuola si apre il contributo di Mariangela Bastico (“Federalismo e scuola”) che sottolinea come, a dispetto di una sbandierata decentralizzazione, le politiche attuali siano centralistiche nei fatti. Il dato è piuttosto preoccupante considerato che, sottolinea l’autrice, proprio il centralizzato sistema scolastico italiano ha prodotto, nel corso dei decenni, sperequazioni enormi in termini di risultati. Solo un compiuto federalismo, in linea con la riforma del titolo V, è al contrario in grado di garantire una scuola fedele al mandato costituzionale. A tale scopo, però, lo Stato deve in primo luogo stabilire i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e deve farlo “chiaramente”, indicando senza dubbi cosa sostanzi il diritto all’istruzione. Non è però auspicabile il contenimento di tali livelli, dato che essi, in quanto strumenti atti a rendere effettivi diritti fondamentali come l’istruzione, non possono essere formulati partendo dalla sola esigenza di limitare i costi. L’autrice sostiene, in secondo luogo, che vanno rafforzate le relazioni tra autonomie scolastiche e autonomie locali, basandole su scambi e arricchimenti reciproci, su un ruolo attivo degli insegnanti e non su un rinnovato dirigismo, essendo indesiderabile “un federalismo basato sul centralismo regionale al posto dell’attuale centralismo nazionale”.

Rosamaria Maggio (“Il principio autonomistico e il falso mito del federalismo democratico”) marca la differenza tra il federalismo del rinnovato titolo V e quello della legge 42. Il primo richiama regioni, province e comuni alla compartecipazione al gettito di tributi erariali. Il secondo, con il superamento della spesa storica per mezzo di quella standard, rischia di trasformare l’ente locale in un mero esecutore di decisioni centrali. Secondo la Maggio c’è infatti la possibilità che il calcolo dei livelli essenziali delle prestazioni venga compresso in un livello minimo che potrà essere integrato solo se gli enti locali mostreranno di avere una spesa che non si discosta dal fabbisogno standard. Ne risulterebbe un federalismo privo della possibilità di spese autonome (e, dunque, svuotato di significato), un aumento nelle differenze delle prestazioni e, quindi, nei livelli di conoscenze e competenze che garantiscono la piena realizzazione dell’articolo 3 della Costituzione.

Nel primo dei suoi contributi, “Il sistema di istruzione dal Titolo V (inattuato) al (futuro) federalismo fiscale”, Osvaldo Roman descrive nei dettagli i passaggi chiave del percorso che porta al federalismo voluto dal governo. Tra le tante criticità che Roman fa emergere, particolarmente rilevante appare quella relativa alle modalità di definizione dei fabbisogni standard e, quindi, di quei livelli essenziali delle prestazioni la cui chiara determinazione (come aveva già ricordato la Bastico nel suo intervento) è cruciale nel passaggio a un federalismo realmente equo. Lo schema di decreto (240 del 2010) che avrebbe dovuto disciplinarli non lo fa con chiarezza, limitandosi a esplicitare i soggetti (la Società per gli studi di settore), e la metodologia da seguire, né gli interventi successivi sembrano in grado di sciogliere il nodo. Nel complesso Roman descrive una normativa mediocre e incoerente che oltre a non garantire un’equa ripartizione delle risorse rischia di mandare in tilt la macchina amministrativa. L’autore fornisce in questo senso un altro esempio, trattando nel secondo contributo “Il reclutamento dei docenti nella proposta di legge della Lega Nord” e soffermandosi sull’incostituzionalità e sull’incoerenza del provvedimento.

Con una riflessione sull’incidenza negativa esercitata dall’esigenza di contenere i costi sullo sviluppo dell’autonomia scolastica si apre il contributo di Emanuele Barbieri (“Il governo del sistema nazionale di Istruzione”). L’autore descrive le resistenze incontrate dalle innovazioni introdotte sul piano normativo (tra le altre: l’autonomia, la riforma del titolo V, la sentenza della Corte costituzionale 200 del 2009) e auspica una pronta ripresa del cammino verso un federalismo incentrato su una reale autonomia scolastica. Un’autonomia che, come viene ricordato nella “Carta dell’autonomia scolastica” riportata in appendice, deve incentrarsi su una cultura della responsabilità e della partecipazione in grado di preservarla sia da involuzioni neocentralistiche sia da disgreganti spinte autoreferenziali.

Per approfondire:
• Si può ordinare il fascicolo sul sito del CIDI: http://www.cidi.it/

English abstract: The “Federalismo e scuola” pamphlet (edited by Centro Iniziativa Democratica Insegnanti) analyses the development of educational federalism in Italy and its capacity to enhance school equity and effectiveness.

Cristiano Corsini

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