Un appello per il diritto all’apprendimento, sempre!
Formulare una legge per l’apprendimento permanente non è una operazione facile, ma uno Stato europeo che condivide gli obiettivi di Lisbona deve dotarsi di una normativa che garantisca questo fondamentale diritto, ora.
La qualità della vita, la partecipazione a reti sociali forti di riferimento, la capacità di adattarsi ai cambiamenti in società complesse e in relazione a un mondo del lavoro che richiede continuamente nuove abilità e nuovo sapere, dipendono soprattutto dal patrimonio di conoscenze che le persone possiedono e dalla capacità di continuare a imparare sempre: lifelong learning, apprendere sempre lungo il corso della vita. Questa è la dimensione che esprime nel mondo attuale il diritto all’educazione enunciato nell’articolo 26 della dichiarazione universale dei diritti umani.
Un cittadino, una cittadina nel mondo attuale deve padroneggiare il processo che permette di acquisire e produrre informazione attraverso la lettura e la scrittura, l’uso di linguaggi formalizzati e degli strumenti delle tecnologie della comunicazione, quel processo che per brevità si usa chiamare competenza alfabetica funzionale. Come si colloca la popolazione italiana rispetto a questi processi? I dati forniti dall’Istat mostrano la persistenza del fenomeno dell’analfabetismo in senso proprio (ancora più del’1% della popolazione), la limitata percentuale di laureati (intorno al 10%), un 17% di popolazione adulta che ha al massimo la licenza elementare (5 anni di scuola), un 36% che ha solo la licenza media (8 anni di scuola) e un 38% che ha un diploma. I risultati delle indagini internazionali sulle competenze funzionali della popolazione adulta (16-65 anni) condotte dall’OCSE presentano una situazione veramente preoccupante, un 5% di popolazione che, pur avendo frequentato la scuola presenta fenomeni gravi di regressione culturale al limite dell’analfabetismo, una massa di circa il 70% della popolazione che ha competenze estremamente limitate e solo un 25% circa che padroneggia in modo adeguato quei processi che permettono di consolidare il sapere posseduto e di acquisirne di nuovo e di interagire in modo efficace nei gruppi sociali di riferimento. Se si volesse indicare quali sono le condizioni che rendono assolutamente necessario definire un quadro legislativo certo, entro il quale collocare le iniziative per sostenere il diritto all’apprendimento permanente per tutti i cittadini e le cittadine, la citazione del caso italiano sarebbe un ottimo esempio. Eppure a oggi questo quadro normativo in Italia non esiste.
Ancora l’ultimo rapporto annuale OCSE Education at a Glance 2008 evidenzia come l’Italia non si sia ancora dotata di un sistema unitario e coordinato per l’apprendimento permanente. Eppure i tecnici del settore, e non da oggi, sono fortemente convinti di questa necessità , ma la volontà politica non riesce a produrre risultati e qui la difficoltà pare insormontabile. Confintea VI (Conferenza Internazionale dell’educazione degli adulti ), che si terrà nei prossimi mesi, si è data uno slogan: “Passare dalla retorica all’azione”, l’Italia dovrebbe forse adottare questo slogan al più presto.
È chiaro che formulare una legge per l’apprendimento permanente non è una operazione facile, perché il testo dovrebbe presentare forti elementi di flessibilità, per includere tutte le diverse condizioni della vita adulta in cui l’acquisizione di sapere diviene necessaria e tutte le opportunità che a questo arricchimento possono contribuire, ma sicuramente uno Stato, e uno Stato europeo che condivide gli obiettivi di Lisbona che ci invita a raggiungere almeno il 12% di popolazione 25-64 anni partecipante al lifelong learning (noi siamo sotto il 7%), deve dotarsi di una normativa che almeno contenga alcuni punti fermi:
1) riconoscere il diritto all’apprendimento come diritto dei cittadini/e secondo il dettato costituzionale;
2) attribuire al pubblico l’onere e il compito di sostenere la domanda più debole e di regolare l’offerta formativa;
3) stabilire modalità e dispositivi per il riconoscimento di competenze acquisite al di fuori dei sistemi formali di istruzione/formazione;
4) collocare la formazione come elemento/strumento componente delle politiche attive del lavoro.
Nella precedente legislatura il Consiglio dei ministri varò un disegno di legge sull’apprendimento permanente, promossa dai vari ministeri istruzione, università lavoro funzione pubblica, poi la caduta del governo ha fermato il tutto.
Attualmente sono presenti in parlamento due disegni di legge: una a firma Luigi Bobba, “Norme sul riconoscimento e promozione del diritto alla formazione e sviluppo professionale” (20 maggio 2008), l’altra del 4 novembre 2008 a firma Anna Finocchiaro che affronta il problema in senso ampio come “espressione del diritto costituzionale all’istruzione, formazione, elevamento professionale ed esercizio dei diritti di cittadinanza”.
Il 10 giugno 2009 si è tenuta in CGIL una conferenza stampa che ha lanciato un appello per una legge per il diritto all’apprendimento permanente, primi firmatari e presentatori il prof. Tullio De Mauro e Guglielmo Epifani; si apre in questo modo una fase di propaganda e di sensibilizzazione in vista della raccolta di firme per una proposta di legge di iniziativa popolare per il diritto all’apprendimento permanente che sia sostenuta da una mobilitazione in grado di agire sulla volontà politica.
L’articolo 1 di questa proposta è semplice e lapidario:
1) Ogni persona ha diritto all’apprendimento permanente.
I prossimi mesi saranno decisivi, cerchiamo di lavorare con un po’ di ottimismo e… auguriamoci che sia la volta buona.
Vittoria Gallina