Università: occhi puntati all’Europa
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Torniamo a riflettere sulla riforma del sistema universitario, a 10 anni dalla sua attuazione, facendo riferimento ai risultati emersi dal convegno sul tema dell’istruzione europea svoltosi a Roma lo scorso gennaio. Perché se molto è stato fatto, molto c’è ancora da fare.
Il 26 gennaio si è svolto a Roma, presso l’Aula Magna del CNR, un convegno dal titolo “Lo spazio europeo dell’istruzione superiore: analisi della attualità e proposte di sviluppo” organizzato dal Comitato per lo Sviluppo della Cultura Scientifica e Tecnologica del MIUR e dal Consiglio Universitario Nazionale.
Il convegno ha avuto un duplice scopo. Da un lato, fare il punto sulla situazione italiana a 10 anni dalla prima attuazione della riforma dell’università. Infatti, l’anno accademico 2001/02 ha visto la partenza dei nuovi corsi di laurea che, adeguandosi a quanto normato dal DM 509/99, rendevano l’Italia attore del Processo di Bologna. Si trattava del primo passo verso la costruzione dello Spazio Europeo dell’Alta Formazione. Dall’altro lato, il convegno voleva presentare alla comunità accademica italiana il rilancio del Processo di Bologna, che si concretizzerà a marzo con la discussione da parte del Parlamento Europeo della: “Motion for a European Parliament Resolution on the Role of the European Institutions to the Consolidation and Progress of the Bologna Process”, e di cui il Prof. Luigi Berlinguer è relatore.
L’Italia è stata tra i primi Paesi a implementare lo schema a due livelli (Laurea e Laurea magistrale), che è alla base del Processo di Bologna. Una delle ragioni principali aveva a che fare con il fenomeno degli abbandoni, uno sperpero di risorse per il Paese e, soprattutto, un’ingiustizia sociale. Nel vecchio ordinamento, gli abbandoni di “quelli che non ce la facevano” erano superiori al 60%. Con il nuovo ordinamento, si è scesi al disotto del 20%, una percentuale per alcuni versi ancora alta e sicuramente riducibile con un miglior raccordo tra scuola e università e con più efficaci attività di orientamento.
Un’altra ragione era quella di aumentare la percentuale di giovani laureati e, al tempo stesso, favorirne un inserimento più rapido nel mondo del lavoro. Con la riforma c’è stata una ripresa abbastanza consistente nel numero di immatricolazioni, a dimostrazione di quanto il nuovo sistema avesse riscosso la fiducia delle famiglie. Conseguentemente, è aumentato il numero di laureati, che ha per un verso contribuito a elevare il grado di istruzione della popolazione e, per l’altro, a far entrare un titolo di studio in famiglie che prima non lo avevano. Inoltre, i giovani conseguono la Laurea (il titolo di I livello) a un’età di circa 24 anni, ovviamente inferiore a quanto avveniva nel vecchio ordinamento.
Va notato che nel periodo 2004-2009, la percentuale dei laureati rispetto alla popolazione di età compresa tra i 30 e i 34 anni è salita fino a quasi il 20%. Nel documento “Europa 2020” la Commissione Europea richiede che per il 2020 questa percentuale raggiunga il 40%. Questo obiettivo sembra essere particolarmente impegnativo, anche perché dal 2008 il numero dei laureati ha iniziato a diminuire. Questo fenomeno è il riflesso di un calo delle immatricolazioni al sistema universitario nazionale che è cominciato già nell’A.A. 2003/04. Nell’A.A. 2010/2011 il numero di matricole si è contratto del 15% rispetto a quello relativo all’A.A. 2003/04. L’andamento demografico dei diciannovenni sicuramente non giustifica questa contrazione ed è francamente difficile, oltre che superficiale, attribuire questo calo alla riforma. Infatti, se si disaggrega il dato complessivo in macro aree, risulta che il numero degli immatricolati alla macro area scientifica subisce in 7 anni una contrazione di appena il 2%, da confrontare con una contrazione del 30% nello stesso periodo per la macro area umanistica.
In una società basata sulla conoscenza, l’investimento in capitale umano diventa strategico. Qualità del processo formativo e integrazione europea sono parole chiave che devono guidare lo sviluppo del sistema universitario dei prossimi anni. Quindi, particolare attenzione deve essere dedicata alla didattica, sia di I sia di II livello, spostando sempre di più l’accento dall’insegnamento all’apprendimento, ai “learning outcomes” e alle competenze trasversali.
È indubbio che, nel corso di questi anni, siano emerse molte criticità: la parcellizzazione e diversificazione del peso in crediti degli insegnamenti, la moltiplicazione dell’offerta formativa, l’aumento delle barriere al passaggio da un corso di laurea all’altro, il basso numero degli studenti che usufruiscono di programmi europei di mobilità (programma Erasmus, programma Leonardo, ecc.). Molto è stato fatto. Per esempio, a dispetto di tutte le critiche fatte sulla proliferazione dei corsi, nell’A.A. 2010/2011 sono stati attivati 2532 corsi di laurea di primo livello, di cui 434 lauree sanitarie, assenti nel vecchio ordinamento. Per confronto, nell’A.A. 1999/2000 l’offerta formativa consisteva di 2444 tra lauree del vecchio ordinamento e diplomi universitari. In altre parole, l’offerta formativa pre e post riforma è molto simile: se patologia c’è stata, essa è stata ampiamente curata dal sistema universitario nazionale. Molto c’è ancora da fare. Per esempio, incentivare una maggiore “navigabilità” sia tra corsi di laurea (per facilitare quegli studenti che dopo un anno o più vogliano cambiare o Ateneo di riferimento o addirittura corso di laurea), sia tra corsi di laurea e laurea magistrale, per incentivare percorsi “obliqui” che spingano a iscriversi a una magistrale anche studenti che non provengono da una triennale di riferimento.
Da ultimo, ma non per importanza, va ricordato il ruolo del dottorato di ricerca come III livello del Processo di Bologna. Il dottorato è il livello più avanzato della formazione universitaria e costituisce la sintesi naturale fra ricerca e formazione. Fino a questo momento, ha costituito il percorso di accesso alla carriera accademica. Al contrario, il dottorato deve costituire la chiave di accesso a tutte le carriere correlate a Ricerca e Sviluppo, sia in ambito pubblico sia privato e deve dare risposte alle richieste di professionalità che provengono dai vari settori della ricerca, con l’obiettivo di integrare sempre di più il sistema formativo con il tessuto sociale del Paese. Anche di questo si è parlato nel convegno del 26 Gennaio in una tavola rotonda appositamente dedicata all’argomento.
PER APPROFONDIRE:
Il programma del convegno e gli interventi
Nicola Vittorio