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La musica d’insieme, il cantiere del sentire e del fare

Pubblicato il: 02/03/2016 17:29:00 -


Il sistema di relazioni che il laboratorio permette dovrebbe essere fondato sul fare, ascoltare e analizzare, ciò che consente non soltanto di «capire» la musica ma anche di inventarla.
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Il Laboratorio Musicale nelle scuole italiane è stato inventato nel 1997 per consentire un approccio alla musica basato sull’azione: l’interpretazione vocale e strumentale, la composizione, l’improvvisazione, l’interazione tra suono e movimento. Il laboratorio dovrebbe essere il luogo in cui rendere possibile il pensiero creativo a partire dalle straordinarie possibilità che il linguaggio musicale offre: soprattutto il valore simbolico del suono e il suo rinviare ad altro, a qualcosa che il linguaggio non può controllare.

Il laboratorio nasce nella convinzione che l’essenza dell’apprendimento risieda nella creazione e nel mutamento, non nella replicazione. E nella certezza che si possa comporre musica insieme prima ancora di imparare a scriverla. La musica esiste prima della sua scrittura, nel fare ognuno apprenderà a leggere e a scrivere musica, a comporla e a improvvisarla, affinando le tecniche strumentali e di ascolto nonché la capacità di lavorare in gruppo.

Il docente coinvolgerà gli studenti nella progettazione musicale organizzando un vero e proprio cantiere nel quale coordinare le risorse dell’apprendimento e allestire percorsi di lavoro e processi fatti di vocalità e uso di strumenti, attività grafiche, gestuali e motorie, verso quelle forme di concertazione che costituiscono la sintesi finale di ogni processo di esplorazione – comprensione – apprendimento.

Questo operare permette di sviluppare la MUSICALITÀ di ciascuno, un elemento fondamentale perché promuove l’integrazione di diverse componenti della personalità, quella percettivo-motoria, quella logica, quella affettivo-sociale.

Ciò che allora dovrebbe interessarci è il processo dell’esplorare, non il suo prodotto, l’affermare che non posso decidere a priori quali tecniche mi serviranno se prima non so dove voglio andare. Per questo è necessario un programma di studi molto flessibile, aperto e interdisciplinare, qualcosa che si auto-generi sui propri successi e che permetta spostamenti laterali decisi dall’allievo, un programma dai confini volutamente mobili, aperto e permeabile, quasi un viaggio senza destinazione, in cui il PIACERE risieda nella scoperta di un nuovo territorio.

Inoltre la pratica della musica d’insieme permette, attraverso l’integrazione della composizione con l’improvvisazione, l’indagine individuale nello spazio acustico, in un progetto d’intenzionalità collettiva che ha lo scopo di creare nuova musica, ovvero educare ad un uso creativo del linguaggio musicale. Ecco la conoscenza che nasce dall’azione, da ricerche comuni che mettano in relazione la mente con il corpo, riconoscendo così l’intelligenza del corpo e i suoi percorsi.

Il che può voler dire anche riconoscere le valenze cognitive delle emozioni e che – come ha scritto Jerome Bruner – “l’apprendimento è un processo interattivo in cui le persone imparano l’una dall’altra, non solo attraverso il narrare e il mostrare. È nella natura delle culture umane formare comunità in cui l’apprendimento è frutto di uno scambio reciproco”.

Se non c’è invenzione del nuovo, qualunque didattica musicale sia destinata al fallimento (e abbiamo il sospetto che ciò riguardi ogni programma educativo). A questo proposito Gregory Bateson ha scritto “La scienza non prova, esplora … Il mondo della replicazione si contrappone a quello della creatività, dell’arte, dell’apprendimento e dell’evoluzione in cui i processi dinamici del cambiamento si alimentano del casuale, nell’esplorazione e nel cambiamento. Il tentativo di trasmettere valori replicati fallisce perché la trasmissione della cultura è legata all’apprendimento, non al DNA”.

È perciò evidente che il docente dovrà avere competenze diverse senza peraltro essere costretto in rigidi programmi o repertori prefissati. Tuttavia sarà necessario che siano presenti alcuni momenti qualificanti; tra essi:

1. L’esplorazione e lo sviluppo della voce umana.

2. La pratica della musica d’insieme.

3. La musica e gli altri linguaggi.

4. L’ascolto di brani musicali.

5. Lo studio dello strumento musicale.

6. L’elaborazione di uno spettacolo performance.

In Francia sono più di 500 all’anno i concerti tenuti da cori di studenti di collège, con migliaia di studenti che collaborano anche con musicisti professionisti, compositori e interpreti, un’attività documentata da dischi e video e che va al di là del semplice concerto: si tratta piuttosto di teatro musicale nel senso lato del termine, con un lavoro preciso di regia e di disegno luci, all’interno di una dimensione artistica vera e propria.

La scuola si trasforma così in un luogo in cui l’iniziativa artistica e culturale non è fine a se stessa ma comporta l’analisi critica della banalità mediatica e della standardizzazione.

Un cittadino più musicale non soltanto canterà meglio: saprà scegliere con cura cosa ascoltare, le parole da usare, i luoghi dove abitare e incontrarsi; avrà più fiducia in se stesso e nelle proprie capacità creative e professionali, avrà meno paura dell’altro, di chi ci regala la cosa più preziosa che possiede, la propria differenza. Operiamo verso “un’école de la mixité” ove si confondano felicemente razze, culture, religioni, saperi e… suoni, perché no?

Per approfondire:

G. Bateson, «Mente e natura», Adelphi

J. Bruner, «La cultura dell’educazione» M. Merleau-Ponty, «Linguaggio storia natura»,

Bompiani Ch. Small, «Musica educazione società», Feltrinelli

Paolo Damiani

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