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Dire la poesia. Un modo per amarla

Pubblicato il: 22/02/2011 18:02:42 -


Per insegnare ai ragazzi l’amore per la poesia i docenti di letteratura potrebbero “trasformarsi in lettori-attori appassionati (o in promotori di letture)”. La proposta di un poeta e insegnante.
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Aula magna del Liceo Aristotele di Roma. 29 gennaio. Mi hanno invitato per una performance di letture poetiche e musica. È la terza volta che con le musiciste Annalisa Spadolini e Simonetta Camilletti replichiamo questo particolarissimo “spettacolo” dal titolo “Nel suo altro confondersi”. Ma è la prima volta che lo facciamo in una scuola. C’è una breve introduzione e la professoressa Milano, mentre mi presenta, come se fossero parole sue, dice i primi due versi di una mia poesia, “Chissà se questa primavera / di febbraio preannuncia che l’anno nasce ancora…”. Subito, da un lato dell’Aula magna si alza una ragazza e dice i tre versi successivi. Poi si alza un ragazzo e dice quelli seguenti. Poi altri ragazzi e ragazze dicono altri versi ancora alzandosi di volta in volta, fino alla fine della poesia.

In un attimo l’atmosfera si è riempita di trepidazione. In un silenzio assurdo (se si pensa che ci sono centocinquanta studenti più il pubblico esterno) tutti seguono con gli occhi quell’inaspettato passaparola. Dopo un primo momento di dubbio, tutti hanno capito che le parole appartengono a una poesia e la seguono con emozione evidente.

Il più emozionato sono io. Nel mio ultimo libro di poesie, “Versi inutili e altre inutilità”, ho scritto, nella poesia “Versi inutili”:

Io penso che, se qualcuno riuscisse
non a gridarle, piuttosto
a spargerle nell’aria le parole
di questi versi sarebbe
come se la loro inutilità non fosse un’astrazione, ma
un aerosol da spruzzare; ci sarebbe comunque l’effetto di non soffocare,
almeno io che le ho scritte, queste parole, tu
che le leggi, gli altri, se ci saranno, che le raccoglieranno
con il loro respiro per la strada.

Quando ringrazio i relatori e i ragazzi leggo loro questi versi e glieli dedico. Adesso l’intensità dell’emozione si percepisce come qualcosa che si può toccare, anzi, come qualcosa che ci tocca, che ci sentiamo addosso.

Qualche mese fa è uscito un pamphlet di Davide Rondoni, “Contro la letteratura” (Milano, Il Saggiatore, 2010), un breve ma travolgente assalto portato al modo in cui si insegna a scuola la letteratura, e soprattutto la poesia. Rondoni segnala un primo e fondamentale “errore di impostazione”: il “tentativo di voler fare dei ragazzi degli esperti. Invece che degli amanti”. Ma ne segnala anche molti altri, tutti che derivano dalla mancanza della volontà di raggiungere un obiettivo prioritario: creare l’amore per i testi letterari. Forse è difficilmente realizzabile la proposta di Rondoni di rendere facoltativa per gli alunni, dopo una prova di qualche mese, la frequenza di un corso di letteratura, ma almeno la proposta di trasformare i docenti di questa disciplina in lettori-attori appassionati (o in promotori di letture) si potrebbe portare avanti senza troppe difficoltà.

Leggere la poesia spargendo “nell’aria le parole”, facendone “un aerosol da spruzzare”, quella performance nella performance realizzata dalla passione di una professoressa e dalla capacità di suggestione di un gruppo di studenti dimostra che creare amore per la poesia è possibile. Io penso che si debba cominciare col DIRLA, la poesia, e col FARLA DIRE, piuttosto che con lo SPIEGARLA e con il FARLA LEGGERE.

Che le poesie dette siano diverse da quelle scritte è esperienza comune. Ascoltare il ritmo del verso attraverso il medium di una voce (anche la propria) è altra cosa rispetto al sentire quel ritmo dentro di sé quando il medium di una pagina di versi consiste solo nei tuoi occhi e nel tuo silenzio. In questo secondo caso è più forte la riflessione: chi legge così la poesia lo fa per studiare a fondo tutto quello che di lei aspetta con calma lì sul supporto bianco di carta. Nel primo caso vince invece l’emozione: chi ascolta la poesia lo fa per farla entrare dentro di sé, nelle sue vene e, solo attraverso – e dopo – di esse, nel suo cervello.

Proporrei questa riflessione agli insegnanti di lettere. Provare non costa niente.

Michele Tortorici

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