Apprendimento non formale. Non tutto quello che non è ‘formale’ è necessariamente ‘non formale’
Partendo dalle definizioni di apprendimento formale, informale, non formale, alcune considerazioni in margine alla “buona scuola”, per superare tali definizioni e valorizzare l’esperienza in atto nelle istituzioni scolastiche.
In un articolo del 2013 sull’apprendimento informale, chi scrive aveva introdotto i risultati di un rapporto inglese che sostanziava una buona definizione di apprendimento ‘non formale’ nella ricostruzione del processo che aveva portato alle definizioni di apprendimento nel Libro Bianco di Cresson. In esso si leggeva:
1. Apprendimento formale: apprendimento fornito da un istituto di istruzione o formazione di tipo istituzionale, strutturato (in termini di obiettivi di apprendimento, tempo o sostegno all’apprendimento), che comporti la presenza di un insegnante designato o allenatore, e porti a una certificazione o un premio di qualificazione o credito. L’apprendimento formale è intenzionale dal punto di vista del discente.
2. “Apprendimento informale: apprendimento che non è fornito da una formale istruzione o istituto di formazione e di solito non porta a certificazione. Risultati di apprendimento informali, le attività quotidiane di vita sociale relative all’istruzione, al lavoro, alla socializzazione o all’esercizio di svago, di attività e hobby. L’apprendimento informale può essere strutturato o non strutturato in termini di obiettivi di apprendimento, tempo di apprendimento o di apprendimento-sostegno. L’apprendimento informale può essere intenzionale o non intenzionale (incidentale) dal punto di vista dello studente ma potrebbe comunque essere strutturato.” Occorre sottolineare che le due definizioni di apprendimento sono caratterizzate da alcune “essenziali” proprietà, sia quando sono presenti che quando non lo sono: l’essere istituzionale, l’essere strutturato (obiettivi, tempi e sostegno), possedere una certificazione (non una semplice validazione) ed essere intenzionale. Da quanto ricordato si evince che:
3. L’apprendimento ‘non formale’ può essere ben definito come non istituzionale, ben strutturato, certificato ed intenzionale”. Ovviamente, questi ultimi tre requisiti sono necessari per un processo di valutazione che passi attraverso la prassi degli organi collegiali della scuola e possa così tradursi in competenze acquisite. Nell’ambito specifico dell’alternanza scuola lavoro molto si è fatto per tradurre l’attività aziendale in una operazione strutturata e parte di un complesso processo di valutazione, tuttavia, restano molti chiaroscuri problematici ancora non risolti.
Ciò nonostante, attualmente e contestualmente (a bocce ancora non ferme), sono in corso due interessanti tentativi volti a superare questa definizione e rimettere tutto in gioco: l’uno, dato dalla “Buona scuola”, con la centralità dell’alternanza scuola lavoro e l’altro, dato da Experimenta 4, con l’allargamento della definizione di “non formale” alle visite (e/o viaggi) d’istruzione a musei, biblioteche, centri speleologi, centri velici, e quant’altro.
Nel primo caso, c’è il tentativo di rendere “istituzionale” l’alternanza; nel secondo caso, quello di destrutturare l’apprendimento ‘non formale’ in qualcosa di più ‘informale’. La prima è una ‘dichiarazione di intenti’ per chi, come accade nei tecnici, vive di alternanza da tempo, con la consapevolezza che il problema è decisamente più complesso di una istituzionalizzazione dell’attività. La seconda è chiaramente una proposta molto coraggiosa rispetto a quella salvaguardia secondo la quale l’apprendimento ‘diverso’ (non formale ed informale) non deve minare la sostanza di quello “formale” (sempre più in crisi e più precario con i risultati dell’INVALSI a cui assistiamo) ma, invece, integrarlo e rafforzarlo. Per il primo caso rimando alle considerazioni fatte nell’articolo Alternanza scuola-lavoro: non solo periti!. Per il secondo caso vorrei sottolineare quanto segue.
Le uscite didattiche (viaggi e visite di istruzione, stage e tirocini, scuole estive ed invernali, scambi culturali e attività integrative fuori sede…), in generale, sono soggette a vincoli di diverso ordine e questi ultimi, di solito, sono codificati nel Regolamento di Istituto, deliberato da tutte le componenti della scuola incluso famiglie, studenti e personale non docente con un’azione profondamente democratica, cioè collegiale. Il vincolo più grave imposto dalle esigenze della collegialità è quello corrispondente al “trattamento non discriminatorio”. Molte famiglie non possono sostenere la spesa presso un centro sportivo o per un tour esplorativo presso fantastiche grotte marine, pertanto la parte della classe che resta nella scuola dovrebbe lavorare su un progetto non disciplinare, ma integrato, al fine di svolgere un’attività alternativa a quella di chi è partito. La didattica, per chi resta, si frammenta in diversi risvolti negativi, sia per la didattica stessa che per la psicologia degli studenti “puniti” (ed è così che si sentono).
I docenti fanno ancora più fatica a “sostituire” i colleghi in viaggio. Visite e viaggi di istruzione sono poi oggetto di ferree regole di vigilanza sempre più difficili da rispettare in contesti più promiscui (rispetto all’ambiente scolastico), coinvolgendo responsabilità delle società coinvolte (strutture alberghiere, college, società di trasporto…) e dei docenti accompagnatori, che nessuno ha più voglia di assumersi (si vedano i casi di incidenti nei quali studenti perdono la vita). La discriminazione non democratica (“la cultura è di tutti quelli che hanno i soldi”, si diceva una volta) è correlata al difficile coordinamento di una didattica alla pari per tutti. Le responsabilità organizzative (‘culpa in organizando’), in merito alla salute e alla sicurezza, non sono generalmente condivise da chi stipula accordi con la scuola. Questi aspetti operativi non sono trascurabili o irrilevanti rispetto al coraggio di proporre idee di ampliamento di concetti così radicali come nel caso dell’apprendimento.
Quindi, concludendo, le attività coraggiosamente proposte da Experimenta 4, spesso già svolte da molte scuole, non sono attività di “apprendimento non formale” perché non strutturabili e impossibili da valutare nel contesto classe, mentre ricadono, invece, secondo il parere di chi scrive, tra quelle più tipicamente “informali”, non necessariamente confluenti in una valutazione di sistema ma libere, come libera è l’assegnazione dei crediti formativi. Affinché esse possano essere considerate, insieme all’alternanza scuola lavoro, foriere di apprendimento “non formale” esse devono essere progettate come strutturate, certificate ed intenzionali per tutti gli studenti e tutte le famiglie, quindi parte di una strategia curriculare e non semplicemente come attività integrative dell’offerta formativa. Ciò, ovviamente, comporta una diversa logica di finanziamento che implica un bilancio partecipato scuola-famiglie-azienda del quale si è trattato altrove (1) . Ma tutto è possibile anche strutturare e finanziare attività “non formali”.
Notte:
(1) Una scuola aperta con un bilancio partecipato in “Le catene invisibili: the entangled school”; e in “20 idee a somma zero per cambiare radicalmente la scuola”
Approfondimenti:
– A.M. Allega, Cosa impariamo dall’informale dei nativi digitali? La definizione di “apprendimento informale”.
– Sulle tre forme di apprendimento informale: Apprendimento Auto-diretto (Intenzionalità Si, Coscienza Si), Apprendimento Incidentale (Intenzionalità No, Coscienza Si), Apprendimento Socializzato (Intenzionalità No, Coscienza No) si vd. D. Schugurensky, 2000, The forms of informal learning: towards a conceptualization of the field, in NALL Working Paper No.19, Department of Sociology and Equity Studies in Education, University of Toronto, 2000, p. 7.
– A.M. Allega, Alternanza scuola-lavoro: non solo periti!
– Sulla scuola aperta con un bilancio partecipato : A.M. Allega, “Le catene invisibili: the entangled school”:
– A.M. Allega, “20 idee a somma zero per cambiare radicalmente la scuola”
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Immagine in testata di Askmen
Arturo Marcello Allega