Valutare e certificare le competenze nell’obbligo di istruzione: il nuovo modello sperimentale
Il format ed il linguaggio utilizzati per individuare i livelli di certificazione nel primo e nel secondo ciclo suggeriscono la possibilità di una rivisitazione in chiave didattica della formulazione delle competenze stesse.
Il tema della certificazione delle competenze è presente nella normativa scolastica del nostro Paese fin dall’istituzione dell’autonomia (art. 10 DPR 275/99), ma è ancora all’ordine del giorno la necessità di armonizzare formato e linguaggio delle quattro certificazioni previste dal nostro sistema di istruzione: al termine della scuola primaria, del primo ciclo, dell’obbligo di istruzione e del secondo ciclo. Con la CM 3/2015 il MIUR ha diffuso il modello sperimentale per la certificazione delle competenze al termine della scuola primaria e del primo ciclo, affinché, alla fine di questo anno scolastico, le scuole che la sperimenteranno possano produrre un report utile alla sua generalizzazione.
Gli indicatori individuati per la certificazione delle competenze sia nel primo che nel secondo ciclo fanno vedere il possibile sviluppo delle competenze a livelli via via crescenti. Già col DM 9/2010 il legislatore aveva individuato una certa modalità linguistica ed un certo lessico per delineare la visibilità della competenza attesa.
La stessa trama concettuale è presente, con le differenze che vedremo in seguito, nel primo ciclo. Un glossario minimo della certificazione dovrebbe prendere in esame i seguenti termini-chiave e le seguenti polarità concettuali:
• conoscenze, abilità, regole, procedure (fondamentali/basilari/acquisite/apprese);
• compiti, problemi (semplici/complessi), situazioni (note/nuove);
• svolgimento (guidato/autonomo), applicazione, possesso, utilizzo, padronanza;
• scelte, opinioni, decisioni (consapevoli/responsabili).
uando si osserva una competenza, questo glossario finisce per passarla ai raggi x ed inquisirla sul piano delle didattiche che ne rendono possibile persino la formulazione. Sappiamo bene che le competenze sono formulate a vari livelli di specificità. Dal massimo della trasversalità delle competenze-chiave di cittadinanza si procede verso le formulazioni più specifiche contenute nel profilo delle competenze previsto dalle Indicazioni per il primo ciclo (al quale devono applicarsi gli indicatori di cui sopra), fino ai traguardi per lo sviluppo delle competenze che, sempre nelle Indicazioni per il primo ciclo, si presentano in forma disciplinare.
Questi livelli sono chiamati alla sinergia, e questa sinergia è resa possibile dagli indicatori di cui stiamo tentando lo screening e che scientemente abbiamo suddiviso in quattro categorie: Gli oggetti del fare scuola.
A scuola si lavora con conoscenze, abilità, regole, procedure. Sono gli alfabeti delle discipline e sono chiamati ad essere “acquisiti” e “appresi” in quanto “fondamentali” e “basilari”. Come dire che non si può essere competenti su nulla se non si sa nulla e non si sa fare nulla. Non si potrebbe guidare un’automobile senza conoscerne i congegni e senza saperli fare funzionare. Ma si sa bene che per guidare bene occorre qualcos’altro.
– Le attività dell’insegnare. A scuola si vivono “situazioni didattiche”. Possono essere facili o difficili, note o nuove, semplici o complesse. Si tratta di “compiti” e di “problemi”, ma questi due termini che valenza hanno qui, cioè in ordine alle competenze? Come interpellano la tradizionale trasmissione delle conoscenze?
– Le attività dell’imparare. Gli allievi lavorano in classe: “svolgono”, “applicano”, ma alle volte mostrano anche di “possedere”, di “utilizzare”, di “padroneggiare”. Gli allievi possono essere diligenti oppure diligenti e competenti. Difficile essere solo competenti senza essere diligenti, ma un eccesso di diligenza può disturbare la competenza.
– Gli atteggiamenti. Scegliere, farsi un’opinione, prendere una decisione consapevole e responsabile sono gli indicatori della crescita umana e culturale. La scuola può sviluppare questi atteggiamenti attraverso l’ambiente di apprendimento che crea. Ma li può anche mortificare. Alla luce di questo agile screening concettuale si potrebbe osservare una qualsiasi competenza disciplinare per comprendere le conseguenze didattiche che esso suggerisce. Ad esempio: Conosce aspetti e processi fondamentali della storia europea medievale, moderna e contemporanea, anche con possibilità di aperture e confronti con il mondo antico (Storia: traguardi per lo sviluppo delle competenze al termine della scuola secondaria di primo grado).
Gli oggetti sono evidenti: la storia medievale, moderna e contemporanea. Il lavoro da fare in classe è un lavoro di “conoscenza”, ma su aspetti e processi “fondamentali”. Come si sceglieranno, e quali compiti o problemi saranno proposti all’attenzione dei ragazzi? Si tratta di compiti e problemi che sorgeranno dal raffronto con il mondo antico (che però non appare “obbligatorio”, come mostra quell’“anche”…)? E come si potranno indurre nei ragazzi atteggiamenti di padronanza cognitiva, di scelta responsabile, di consapevolezza decisionale? Sembra che a voler reinterpretare questa competenza alla luce degli indicatori or ora analizzati, il setting didattico che ne viene fuori è un setting in cui l’insegnante individua argomenti “fondamentali”, li problematizza e li rende oggetto di riflessione comparativa. Forse la competenza qui non è enunciata in modo da far emergere tutta la possibile ricchezza di una didattica costruttiva e laboratoriale, ma utilizzando il dispositivo concettuale degli indicatori di certificazione è possibile magari migliorarne la formulazione, che così com’è rischia di indulgere al nozionismo contenutistico, con quell’iniziale “Conosce…”. Insomma, un buon campo di lavoro per gli insegnanti che lavorano alla progettazione del curricolo verticale.
In un secondo contributo proporrò uno sguardo comparativo tra i livelli e gli indicatori utilizzati per il primo e per il secondo ciclo, che presentano differenze da non sottovalutare.
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Immagine in testata di Certifica il tuo italiano
Maurizio Muraglia