Apprendistato: non tutto il male vien per nuocere
L’accreditamento di una azienda, che accoglie ragazzi come apprendisti e fa loro completare l’obbligo scolastico, potrebbe costituire un incentivo a emergere dall’illegalità, potrebbe indurre le aziende ad avvicinarsi alle scuole, e le scuole alle aziende.
Che il governo abbia fatto un’operazione discutibile, presentando un decreto sul lavoro che di fatto tocca anche il piano dell’istruzione e della cultura, consentendo agli apprendisti di espletare l’ultimo anno di obbligo scolastico nelle aziende, è un male.
È un male, perché il parlamento in generale, e la commissione cultura in particolare, doveva essere il luogo privilegiato per approfondire un argomento di questo genere.
È un male, perché certe decisioni vanno prese per legge, dopo una lunga e pacata riflessione, un confronto approfondito e aperto al contributo di tutti.
Tuttavia, vale la pena di riflettere con attenzione sull’argomento, senza preconcetti e posizioni precostituite, anche perché in Italia, tante volte, si corre il rischio, a furia di aspettare i pareri più disparati, che non si cambino le situazioni degenerate.
Noi tutti, che lavoriamo nella scuola, sappiamo che formare ed educare un ragazzo è un’impresa tutt’altro che facile, che richiede preparazione, attenzione e programmazione.
Però, una cosa che è partita storta, non è detto che non possa essere raddrizzata in corso d’opera.
Del resto, troppo spesso noi operatori scolastici siamo autoreferenziali, oppure giudichiamo la realtà delle aziende come qualcosa di totalmente estraneo alla formazione di un individuo, come se in quella realtà non ci fosse altro criterio che quello del profitto.
D’altra parte le aziende incolpano la scuola, e spesso non hanno torto, di essere lontana dalle esigenze della realtà odierna, e poco disponibile all’aggiornamento delle tecniche e delle metodologie.
Occorre invece intessere sempre di più rapporti tra questi due mondi, che spesso viaggiano in modo parallelo, senza incontrarsi: il mondo della scuola e quello del lavoro.
Pensiamo all’esempio virtuoso degli stage, che arricchiscono il percorso scolastico, rendendo lo studio delle materie più vicino al mondo che ci circonda.
Bisogna continuare su questa strada, rompendo la diffidenza reciproca di questi due mondi, come hanno contribuito a fare la legge Treu e la legge Biagi.
Purtroppo queste due norme non sono sempre state realizzate con la dovuta attenzione e completezza. È il caso, per esempio, appunto, dell’apprendistato per l’esercizio del diritto-dovere di istruzione e formazione, già previsto nella legge Biagi.
Comunque, per affrontare l’argomento in tutti i suoi aspetti, è necessario non essere schematici o astratti e guardare con realismo la situazione.
Oggi ci sono circa 126.000 i ragazzi tra i 14 e i 17 anni che abbandonano i percorsi di istruzione e formazione professionale senza conseguire una qualifica o un titolo di studio. Si tratta di circa il 5,4% dei ragazzi nella fascia dai 14 ai 17 anni, secondo l’ultimo rapporto Isfol. Questi dati sono ancora più preoccupanti al Sud, dove la dispersione è maggiore, e dove è facile per i ragazzi cadere nelle maglie del lavoro nero, o peggio della malavita organizzata.
L’accreditamento di una azienda, che accoglie ragazzi come apprendisti e fa loro completare l’obbligo scolastico, potrebbe costituire un incentivo a emergere dall’illegalità, potrebbe indurre le aziende ad avvicinarsi alle scuole, e le scuole alle aziende.
Sembra che ci sia la rincorsa alla licealizzazione dei percorsi scolastici, come se tutti debbano essere esperti di quell’impostazione teorica-astratta, che pure è necessaria nella società. Questa presunzione genera spesso delusioni scolastiche e insoddisfazione nei giovani.
Se si riconosce che in Trentino, piuttosto che in Germania o in altri paesi del Centro o del Nord Europa, questo processo avviene perché vi è una sinergia tra il mondo della scuola e quello del lavoro, perché non fare in modo, magari costretti da una indubbia forzatura governativa, che questo possa avvenire anche in Italia, tenendo conto che il Trentino è già Italia a tutti gli effetti, o no?
Luigi Gaudio