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Sull’insegnamento e apprendimento dell’italiano nel primo ciclo

Pubblicato il: 04/10/2010 12:07:00 -


“I ‘meccanismi’ mentali e culturali dei ragazzi e degli adolescenti non riescono più a concepire differenziazioni nette tra le discipline. Essi posseggono ormai dei loro codici che non corrispondono più né all’ordine fiscale e gutenberghiano delle discipline né all’ordine sintattico dell’insegnamento dell’italiano da parte dei nostri docenti”.
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Mi sembra utile e opportuno partire dall’immaginario collettivo o, se si vuole, dalla cultura di partenza dell’alunno, per cercare di capire meglio quali possono essere i punti di partenza e di leva, tenendo presente naturalmente in prospettiva gli assunti delle Indicazioni, ai quali far riferimento per impostare un nuovo discorso curriculare di italiano, ammesso che si possa parlare ancora di discipline e di curricoli strettamente disciplinari.

Nelle Indicazioni viene evidenziato il valore fondante dell’approccio comunicativo, laboratoriale, interattivo, contestualizzante e motivante dell’apprendimento dell’italiano, tenendo presente il già formato e attivo patrimonio culturale del soggetto d’apprendimento.

E allora proviamo a trarne qualche prima conseguenza e a immaginare qualche scenario possibile in una classe del primo ciclo, primaria o secondaria di primo grado (a questo stadio del nostro discorso è del tutto irrilevante a quale dei due segmenti del primo ciclo ci riferiamo).

I “meccanismi” mentali e culturali dei ragazzi e degli adolescenti, con qualche diversità di maggiore o minore consapevolezza, non riescono più a concepire differenziazioni nette tra le discipline, concetto del resto moderno che di per se stesso sta a indicare una volontà epistemologica di ordine lineare universale. I nostri allievi posseggono ormai dei loro codici, dei loro linguaggi, dei loro mondi immaginativi e fantastici che non corrispondono più né all’ordine fiscale e gutenberghiano delle discipline né all’ordine sintattico dell’insegnamento dell’italiano da parte dei nostri docenti.

I nostri alunni possono avvicinarsi all’italiano ormai solo in una dimensione transdisciplinare, che ovviamente non vuol dire abbandonare l’insegnamento di italiano, termine da evitare accuratamente perché implicante una dose eccessiva di dirigismo cognitivo che, rivolto anche a degli alunni del primo ciclo, rischierebbe di farceli perdere per strada.

L’apprendimento dell’italiano diverrebbe appetibile nella misura in cui rinunciasse a porsi come egemonico, invasivo, pervasivo totalizzante e specialistico.

In questo nuovo approccio un ambiente di apprendimento cooperativo, collaborativo centrato su un argomento interdisciplinare e non lineare, un romanzo d’avventura, ad esempio, potrebbe rivelarsi un utile momento di approfondimento anche e soprattutto della lingua italiana.

Gli allievi scoprirebbero da se stessi, posti dinanzi all’esigenza di interagire con i loro pari, la necessità di comunicare, a partire dai loro reali bisogni, con la lingua materna in modi e forme che li porrebbero in condizione di divenire consapevoli, opportunamente guidati dai docenti, delle strutture e dei livelli profondi che comporta la padronanza della lingua italiana.

La lingua italiana, in un ambiente di apprendimento laboratoriale e collaborativo, diverrebbe la lingua e strumento di lavoro dell’intera comunità cooperativa indirizzata a un preciso obbiettivo di lavoro, concretizzabile in un manufatto chiaramente visibile e distinguibile.

L’italiano perderebbe la sua dimensione specialistica separatistica, asettica e artificiale che lo fa apparire incomprensibile e disagevole, per non dire, repellente a intere generazioni di allievi.

Più esso si despecializza e più diverrebbe attraente e interessante perché agganciato a un contesto olistico e globale e anche per questo, oltre che per il suo aspetto utilitaristico e lavorativo, più consono a inserirsi nella lunghezza d’onda dei nostri allievi, le cui antenne informatiche sembrano essere più sollecite e reattive alle Sirene non lineari dell’apprendimento ipertestuale che agli specialismi ipergrammaticalistici e ipersintatticistici, ancora dominanti e imperanti in gran parte delle nostre aule scolastiche.

Allora la grammatica e la sintassi diverrebbero meno lontane e inaccessibili ai nostri ragazzi perché contestualizzate e soprattutto sgorganti da necessità naturali e strumentali ben avvertibili e soprattutto facilmente assimilabili perchè riconducibili a strutture naturalmente profonde del loro essere nel mondo, in questo mondo e in questo momento.

Ma esiste una scuola, un corpo docente e soprattutto un’opinione pubblica capace e pronta a raccogliere tale inusitata e radicale sfida in un Paese, attualmente, completamente e pervicacemente chiuso in una rincorsa a ritroso nel suo passato?

Gennaro Tedesco

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