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Prof e ragazzi: su il sipario!

Pubblicato il: 14/07/2012 14:33:00 - e


L’“altro teatro” a scuola. ? un’esperienza ripetibile? è un modello? Non lo sappiamo. Si realizza pienamente quando scendiamo dalla cattedra, quando varchiamo la soglia della scuola, quando inizia il viaggio.
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Avere un laboratorio teatrale è di grande impegno umano e didattico anche perché noi miriamo a salvaguardare il concetto di labor, adoperando le strategie della teatralità: aule piccole e distorte come improbabili palcoscenici, giovani uomini e donne al posto di maschere, insegnanti di letteratura che si sostituiscono a blasonati esperti. Perché? Non siamo esperti di teatro ma esperti di ragazzi e gestire un laboratorio teatrale è diventare il direttore di un’orchestra, di un gruppo di musicisti attirati dal desiderio di raccontare se stessi. Noi crediamo in un unico progetto, quello del giovane uomo e della giovane donna che abbiamo di fronte, il progetto che ha come finalità quella di favorire la sua apertura al mondo, permettere che si realizzi il suo progetto emotivo, indurlo a uscire dalla solitudine affinché inizi il suo viaggio.

Ecco, prima di tutto c’è l’idea che diventa personaggio e si incastona in una storia. Allora bisogna trovare la storia giusta, il personaggio adatto a quegli occhi che ti stanno di fronte e aspettano; e qual è il principio di scelta? Nessuno, la sensazione…

Un giorno di ottobre te li vedi lì, sulla soglia della porta dell’aula: “No, vengo solo per vedere, non mi interessa recitare… ho accompagnato il mio amico, la mia amica”. E hanno ragione: nel nostro laboratorio teatrale non si recita, certo nessuno di noi conosce la dizione e le regole della messa in scena, tanto meno i metodi di immedesimazione, allora è chiaro che quel ragazzo fa al nostro caso: non vuole recitare, vuole raccontare se stesso, eccolo il nostro poeta sognante. Cerchiamo un copione e una storia. Il nostro è un copione in completa trasformazione, si cambiano le parti si cuciono nuovi personaggi: si impara un nuovo linguaggio, quello delle emozioni e dei sentimenti che stanno alla base della pagina di ogni libro, di qualsiasi autore, di tutte le poesie del mondo.

L’emozione come scopo ultimo, la volontà di insegnare a mettersi alla prova, a essere se stessi, a non lasciarsi vincere dalle difficoltà raccogliendo ogni sfida.

È un’esperienza ripetibile? è un modello? Non lo sappiamo. Si realizza pienamente quando scendiamo dalla cattedra, quando varchiamo la soglia della scuola, quando inizia il viaggio. Potremmo ripensare a delle fasi. La prima è quella del coraggio sulla porta, la seconda è la più difficile ed è quella della lettura pura e profonda del copione, delle parole, una lettura non solitaria tra le mura della propria casa, ma fatta tutti insieme. Ore a leggere un copione, ad ascoltare gli altri. Prima lezione: imparare ad ascoltare l’altro, non per quello che dice, ma per cosa lui riesce a far intendere con il suono della sua voce, di cosa lui vuole parlare con tutti noi. Poi c’è la nostra intuizione: “tu per me sei Antigone, tu sei la nutrice…”. Nasce il patto alunno-docente o meglio “ragazzi-prof”! Questa è la regola: il gruppo prima di tutto. Ci mettiamo alla prova. Terza fase: “dimmi chi pensi che sia il tuo personaggio… non so forse devi pensare ad altro… secondo te che cosa ha sentito… cosa ha provato… alza la tua voce, impara ad ascoltare…”.

Quando il personaggio è là, non quello del copione, quello nuovo, il Creonte che cerca la propria identità, l’Antigone arrabbiata, è arrivato il momento, quello in cui il ragazzo non è più solo, tira fuori la sua emotività e parla con l’altro. “Non ti piace quella parola, cambiamola!” “No prof, non mi piace, è una cavolata, non significa niente…” Lo scopo è raggiunto il prof non è più prof, la fiducia è quasi completa, lì davanti a noi c’è il personaggio nudo, non bisogna plagiarlo o plasmarlo, ma accompagnarlo in un processo che ha come scopo la creazione del gruppo teatro e più “l’altro” è diverso più è lontano, più il risultato è importante. A questo punto il gioco è fatto, il rapporto di fiducia all’interno del gruppo è saldo, non ci sono orari, i telefonini non si vedono più, l’attenzione aumenta a ogni prova, l’esigenza del singolo è quella del gruppo, non è più il personaggio ma la nostra rappresentazione, non quella della del copione, ma quella che tutti insieme abbiamo scelto e scritto.

Quando il processo è perfetto, quando ci sembra che le “cose, tutto sommato, cominciano a funzionare”? Quando la storia è vera, quando il personaggio si emoziona, quando non c’è la maschera ma il sentimento che diventa parte della sua crescita umana e il ragazzo ha imparato a odiare, a urlare, a commuoversi, a piangere, a ridere e la sua forza si riversa su tutti noi. Il compromesso con la propria etica di docenti a favore di quella di uomini si realizza anche attraverso la complicità che non è mai permissivismo ma comprensione. C’è differenza tra l’alunno e il ragazzo che hai aiutato a crescere? Sì c’è, perché quando il ragazzo lo rincontri per strada ti sorride, quando l’alunno lo ritrovi tra i corridoi della scuola, ti dice buongiorno ma tu accennando un sorriso non gli puoi dire che se lo hanno rimandato o bocciato è perché forse la competenza ha un valore diverso che non si esprime in voti decimali, ma le conoscenze quelle sì, quelle bisogna sedersi e farsele entrare nella testa, e ripeterle perché sia palese la preparazione, ma lo guardi negli occhi e ti fa male al cuore perché conosci quello che ti ha raccontato durante quelle prove, leggendo e scrivendo un copione, durante quegli interminabili pomeriggi quando ti ha insegnato il giusto valore del tuo essere professore.

Ecco lo spettacolo finale, non sempre riesce, ma se quelli che hanno bussato alla porta i primi di ottobre sono davvero poeti sognanti li guardi e non riesci a seguirli perché sono attenti, perfetti, certo, hanno omesso pezzi di copione, ma non importa, perché il nostro è un laboratorio teatrale senza scenografie, costumi, copioni o attori.

Ecco perché facciamo il laboratorio, ecco perché continuiamo a fare quello che per noi è “l’altro teatro”: facciamo l’unica cosa che sappiamo fare, insegnare la letteratura attraverso le parole, perché è insegnare la musica delle poesia, è insegnare a parlare con parole di altri che poi diventano le nostre, con parole che diventano un linguaggio che è parte di noi, perché l’importante è comunicare, è urlare, è raccontare e a noi è toccata la funzione e il privilegio di ascoltare la loro vita, il loro essere, senza interferire, così, a bassa voce:
“Che dice, va bene prof come è andata?”
“Perfetta come sempre, come tutto, forse dovresti… no, hai ragione, è molto meglio come hai provato tu…”

La locandina del laboratorio teatrale

Mirella Maria Colangelo e Carmine Collina

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