Ricordi di scuola
Il racconto del primo giorno di scuola, fra sentimenti da condividere e domande senza risposta.
Le case popolari sembrano abbracciare come due ali la costruzione bassa dell’edificio scolastico, non lontano il mare di cui non si avverte la presenza, né odore di salsedine né rumore di onde. Sembra soffocato dall’inquinamento e dall’abbandono. Quest’anno scolastico è iniziato come gli altri.
Il suono della campanella scandisce l’entrata, le ore di lezione e libera richiami e grida quando si avvicina l’orario dell’uscita. In una lenta rotazione entrano nuovi alunni e ne escono altri. Ogni tanto, durante le lezioni, la porta della classe si apre perché non è stata riparata, bisogna chiudere la finestra per non creare corrente. Il vento è una presenza costante, quando è forte si sentono lunghi sibili e poi improvvise interruzioni. La scuola sembra un’isola in mare aperto… Abbiamo assegnato i posti dei nuovi alunni. Quelli del primo banco sono sempre i più piccoli di statura ma anche i più “svantaggiati”, quelli che hanno maggiori difficoltà e che per vari motivi devono essere tenuti sotto controllo per l’eccessiva vivacità.
P. siede al primo banco e penso che questo “privilegio” l’accompagnerà per l’intero anno scolastico. Spesso la mia attenzione si rivolge a lui perché lo vedo assente e come distratto da mille pensieri. Mi dispiace disturbarlo ma sono tentata di conoscerlo più a fondo. A ogni mia domanda rimane sorpreso, seguono lunghi silenzi e tentativi di dare risposte che, purtroppo, non sono mai quelle giuste. So che la sua famiglia è composta da nove figli e lui è il più piccolo. Nell’indagine sui nuclei familiari ha avuto non poche difficoltà perché, oltre ai fratelli, vivono sotto lo stesso tetto i fratelli sposati con rispettivi figli. Dopo alcuni giorni di attesa gli ripropongo lo stesso argomento e vedo con sorpresa che si fatto un elenco nominativo per non sbagliarsi. Ogni tanto P. si avvicina alla cattedra per chiedermi se il compito è stato eseguito bene. Io non ho il coraggio di rispondergli che ha sbagliato tutto e cerco di spiegargli come deve essere risolto l’esercizio. Mi rendo comunque conto che le mie lezioni, le mie parole sono ancora molto lontane dalla sua mente e dai suoi pensieri. Forse proprio per questo insisto per fargli domande nella speranza che possa, almeno in parte, iniziare a costruire le sue conoscenze e a interagire con il nuovo ambiente. A volte anche P. mi rivolge delle domande. Giorni fa si è avvicinato alla cattedra timidamente e mi ha detto che il padre è malato e che, nonostante abbia cambiato aria, andando nel suo paese di origine, continua ad avere dolori al petto. Mi ha chiesto se guarirà da quella che lui chiama “cuore polmonare”. Io ho cercato di rassicurarlo e dopo qualche attimo di silenzio ha guardato fuori dalla finestra e mi ha chiesto: “Che dice, oggi pioverà?”.
Non ho trovato risposte per le sue domande e forse mi sono sentita in difficoltà come lui quando è interrogato. Come ogni anno, in diverse situazioni scolastiche, la vita, i pensieri e le incertezze dei miei alunni sono diventate anche le mie. Entro in modo maldestro nei loro pensieri e nella loro vita per cercare di condividerne i sentimenti e le emozioni ma mi ritrovo a volte ad affrontare le loro domande senza essere preparata. Guardo fuori dalla finestra il tempo che cambia e ogni giorno imparo da loro a non regalare solo certezze.
Laura Alberico